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La figura di Giovanni Palatucci, l’importanza della scelta da lui compiuta, il messaggio che ne può ricavare un ragazzo di oggi.

La figura di Giovanni Palatucci, l’importanza della scelta da lui compiuta, il messaggio che ne può ricavare un ragazzo di oggi.

Giovanni Palatucci nacque a Montella il 29 maggio 1909, figlio di Felice e Angelina Molinari. La famiglia Palatucci era molto religiosa, due zii paterni furono francescani, un terzo, divenne vescovo di Salerno il 28 novembre 1937. Palatucci compì i primi studi a Montella e li proseguì al ginnasio Dionisio Pascucci a Dentecane (Avellino); si iscrisse poi al Liceo Classico Pietro Giannone di Benevento, ma al termine del primo anno si ritirò a causa di contrasti con i docenti, dopo aver preso le difese di alcuni compagni, mostrando già una predisposizione all’altruismo; continuò i suoi studi privatamente in un Collegio a Salerno, e poi conseguì la maturità fuori dall’età scolastica, al Liceo Torquato Tasso a Salerno il 29 novembre 1928. Si iscrisse al corso di laurea in giurisprudenza all’Università di Napoli, dove poi si trasferì a Torino per assolvere il servizio militare. Il 16 dicembre 1932 si laureò all’Università di Torino. Dopo il tirocinio presso lo studio dell’avvocato Luigi Mazzoleni di Torino, superò l’esame di procuratore legale, ma anziché intraprendere la carriera giudiziaria, come consigliato da Mazzoleni e come era nei desideri del padre, nei primi mesi del 1936 presentò domanda per entrare in polizia. Prese servizio il 3 agosto alla
Questura di Genova come vicecommissario; un anno dopo frequentò il corso presso la Scuola di formazione per funzionari di Pubblica Sicurezza a Roma; a fine corso fu confermato vicecommissario e riprese servizio a Genova il 7 maggio. Rilasciò un’intervista che il 26 luglio 1937 apparve anonima su un giornale cittadino, in cui criticava la polizia accusandola di burocratismo e di essere lontana dai problemi dei cittadini; l’intervista suscitò scalpore tra i suoi superiori che vennero a sapere dell’identità dell’autore. Fortemente biasimato, Palatucci rischiò l’espulsione, ma lo trasferirono alla Questura di Fiume, dove giunse il 15 novembre del 1937. Nella sua posizione ebbe modo di conoscere l’impatto che le leggi razziali ebbero sulla popolazione ebraica. In quel contesto, cercò di fare quello che la sua posizione gli permetteva, creando attraverso una rete di amici una strada per salvare tanti ebrei dai campi di sterminio Un calcolo approssimativo ha stimato in più di 5.000 il numero di persone che Giovanni Palatucci aiutò a salvarsi durante tutta la sua permanenza a Fiume. Per contrastare ulteriormente l’azione del comando tedesco, Palatucci vietò il rilascio di certificati alle autorità naziste se non su esplicita autorizzazione, così da poter aver notizia anticipata dei rastrellamenti e poterne dar avviso. Inoltre inviava relazioni ufficiali al governo della Repubblica Sociale Italiana per segnalare continue vessazioni, limitazioni nello svolgere le proprie attività e il disarmo dei poliziotti italiani da parte dei tedeschi. Egli si preoccupò anche dell’istituzione di uno “Stato Libero di Fiume”, per far sì che questo
territorio, che correva il rischio di dover essere ceduto dall’Italia alla Jugoslavia, mantenesse una sua indipendenza. Fu proprio con l’accusa formale di cospirazione e intelligenza con il nemico, in seguito al rinvenimento di un piano relativo alla sistemazione di Fiume come città indipendente, che il 13 settembre 1944 venne arrestato dai militari tedeschi e tradotto nel carcere di Trieste. Il 22 ottobre venne trasferito nel campo di lavoro forzato di Dachau, dove morì due mesi prima della liberazione, a soli 36 anni.
Penso che Giovanni Palatucci sia stato un uomo che si è trovato davanti ad una scelta difficile, che ha compiuto gesti magnifici che grazie ai quali viene ricordato con grande onore anche nonostante il passare degli anni. E’ un uomo da cui si può ricavare l’esempio, un uomo coraggioso, forte, e soprattutto molto buono, ed io riesco a ricavarci molto: essere coraggiosi davanti ad ogni ostacolo, amare il prossimo e avere la forza di non abbattersi mai.

Lavoro svolto da: G.F., classe 3 sez. B

Silvia De Simone
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