Ore 19:34 del 23 novembre 1980: era una domenica sera come tante, faceva freddo e nel cielo splendeva una grande luna rossa che metteva un po’ paura…
All’improvviso la terra iniziò a tremare dopo un boato fortissimo che sconquassò il silenzio della sera: era il terremoto, una forte vibrazione della crosta terrestre provocata dallo spostamento improvviso di una massa rocciosa nel sottosuolo (dal latino terrae motus, che vuol dire «movimento della terra»). Magnitudo 6.5 sulla Scala Richter, con epicentro tra Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania.
Quasi un minuto e mezzo di scosse: un tempo interminabile, che sembrava non finire mai. Tutto tremava, le case oscillavano, la polvere era praticamente dappertutto!!
Il forte sisma colpì l’Irpinia, tutta la Campania, la Basilicata e la Puglia (in pratica, un’area complessiva di oltre 17.000 km quadrati), provocando migliaia di morti e devastazione in gran parte del territorio dell’Italia del Sud. Interi paesi delle province di Avellino, Salerno e Potenza vennero completamente rasi al suolo: i comuni maggiormente colpiti (quelli in cui si registrarono danni del decimo grado sulla Scala Mercalli) furono quelli di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto e Santomenna. Il terremoto causò oltre 280.000 sfollati (ossia persone senza casa).
Secondo stime ufficiali, poi, morirono 2.914 persone, ma diverse migliaia furono le persone mai ritrovate; i feriti furono 8.848.
L’entità drammatica del sisma non venne valutata subito: i primi telegiornali parlarono di una «scossa di terremoto in Campania», dato che l’interruzione totale delle telecomunicazioni aveva impedito di lanciare l’allarme; soltanto a notte inoltrata si cominciò a evidenziarne la più vasta entità; da una prospezione effettuata nella mattinata del 24 novembre tramite un elicottero vennero rilevate le reali dimensioni del disastro. Uno dopo l’altro si aggiungevano i nomi dei comuni colpiti; interi nuclei urbani risultavano cancellati, decine e decine di altri erano stati duramente danneggiati. Nei tre giorni successivi al sisma il quotidiano “Il Mattino” di Napoli enfatizzò la descrizione della catastrofe. Il 24 novembre il giornale titolò «Un minuto di terrore – I morti sono centinaia», in quanto non si avevano notizie precise dalla zona colpita, ma si era a conoscenza del crollo di Via Stadera a Napoli. Il 25 novembre, appresa la vastità e gravità del sisma, si passò a «I morti sono migliaia – 100.000 i senzatetto», fino al titolo drammatico del 26 novembre «Cresce in maniera catastrofica il numero dei morti (sono 10.000?) e dei rimasti senza tetto (250.000?) – FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla». La cifra dei morti, approssimata per eccesso soprattutto a causa dei gravi problemi di comunicazione e ricognizione, fu poi ridimensionata fino a quella ufficiale, ma la cifra dei senzatetto non è mai stata valutata con precisione. Purtroppo i soccorsi furono tardivi, piuttosto lenti e insufficienti per diverse ragioni: le difficoltà di accesso alle zone dell’entroterra, isolate più di quanto già non fossero per il crollo di strade e ponti; il cattivo stato delle infrastrutture (a cominciare da quelle elettriche e telefoniche); l’assenza di un’organizzazione come la Protezione Civile (che fu creata soltanto 12 anni più tardi).
Anche la ricostruzione ha rappresentato un grosso neo dell’intera vicenda, divenendo uno dei peggiori esempi di speculazione su una tragedia; infatti, come testimonia tutta una serie di inchieste della Magistratura (per le quali sono state coniate espressioni come Irpiniagate, Terremotopoli o il terremoto infinito), durante gli anni si sono inseriti interessi loschi che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 339 paesi in un primo momento, che diventarono 643 in seguito a un decreto dell’allora Presidentedel Consiglio dei Ministri Aldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia quasi l’8,4% del totale dei comuni italiani. Sono già passati ben 42 anni da quel terribile giorno del 23 novembre 1980, ma la memoria resta sempre viva, come un monito anche per il futuro.
Ancora oggi mio padre non riesce a cancellare il ricordo di quei terribili attimi: «Ero da poco uscito dal cinema di Lioni – dice – e mi trovavo nel bar all’inizio del corso del paese, dove la gente stava guardando la partita di calcio in TV tra Juventus e Inter, allorquando la terra iniziò a tremare: la luce si spense, tutti gridavano e scappavano, alla ricerca di un posto sicuro che però era solo nella speranza delle persone… La scossa durò un minuto e mezzo e per tutto il tempo rimasi bloccato in un angolo per la paura; quando poi finalmente la terrà finì di tremare, uscii insieme agli altri dal bar e mi recai in un’area all’aperto pensando all’eventualità di altre nuove scosse. Purtroppo, a causa della polvere che impediva di vedere anche a un metro e delle tante macerie che rendevano impossibili i facili spostamenti anche a piedi, non riuscii a tornare subito a casa, ma fortunatamente dopo qualche minuto mio padre riuscì a trovare me e mio fratello e ci rifugiammo tutti in macchina insieme a mia nonna e mia madre…».
Nonna Olga mi ha raccontato di essere rimasta per un po’ di tempo sotto le macerie e di essere stata salvata da mio nonno Lillino: «Ero a casa di un’amica, non lontano da dove abitavo, e l’edificio crollò a causa della forte scossa: in quel momento io ero seduta sul divano e, a causa del movimento del pavimento, non riuscii ad alzarmi e forse questo mi salvò (diversamente da quello che successe alle mie amiche, entrambe morte per il crollo del palazzo). Rimasi per oltre mezz’ora sotto le macerie, con il tubo della stufa che sputava il fumo proprio sulla mia faccia, impedendomi di respirare, ma fortunatamente mio marito, che sapeva dove mi trovavo, mi venne a cercare immediatamente e mi estrasse dalle macerie grazie all’aiuto di alcuni passanti».
Ho chiesto anche ai miei parenti di Benevento cosa ricordassero di quei momenti: mio nonno Giannino mi ha raccontato che, alla fine della prima forte scossa, prese per mano le sue figlie piccole di 4 anni (mia madre) e di 5 anni (mia zia) e, scendendo velocissimamente le scale del palazzo in cui abitavano al terzo piano, per andare in un posto all’aperto e più lontano possibile dai grandi palazzi della zona; mia nonna Felicia era anche lei in casa insieme a mio nonno e ai suoi genitori (i miei bisnonni, che purtroppo non ci sono più), e tutti uscirono in fretta fuori, dove passarono la nottata all’addiaccio…
In sintesi, tutte queste testimonianze rievocano il grande senso di smarrimento generato dalla perdita delle persone care o di semplici conoscenti, dalla distruzione degli abituali luoghi di aggregazione della comunità (la piazza, i giardini, la fontana, ecc.), dal cambiamento delle abitudini acquisite, dalla consapevolezza della fragilità dell’essere umano di fronte alla immensa forza distruttrice della natura. Pertanto la ricostruzione non può e non deve riguardare solo le case, le città, le cose, ma anche e soprattutto gli animi, la psiche, i ricordi di quelle persone che sono sopravvissute a quel terribile giorno di fine novembre del 1980!!
Lavoro svolto da: E.G., N.D.R., F.P., A.R., M.D.C., classe I° sez. B
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