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Educare alla  vera parità.

Educare alla  vera parità.

Marzo è il mese in cui si celebra la festa della donna ma dovremmo chiederci se abbia ancora senso questa festa in una società come la nostra, o se mai ne abbia avuto. A cosa serve festeggiare e celebrarsi per un giorno all’anno per poi continuare nella vita quotidiana a mantenere in piedi schemi patriarcali ormai sedimentati nei secoli?

La donna, infatti, sebbene abbia fatto numerosi passi avanti rispetto ad epoche passate, rimane ancora in una condizione di inferiorità rispetto agli uomini da un punto di vista dei diritti e quindi anche dal punto di vista del proprio ruolo nella società.

La storia ci insegna che sin dall’antica Grecia la donna era sempre un gradino più in basso rispetto all’uomo e la sua vita si svolgeva principalmente in casa dedita alla cura dei figli ed delle attività domestiche.

I filosofi greci consideravano la donna inferiore ed ignorante rispetto all’uomo, addirittura incompleta.

Leggermente diversa la situazione nel mondo romano dove la donna era più libera di uscire e di circolare ma il ruolo sociale era comunque limitato alla cura della famiglia, rimanendo il potere decisionale sempre appannaggio dell’uomo.

Il padre sceglieva persino il futuro marito delle figlie femmine che di solito si sposavano intorno ai 15/ 16 anni, fenomeno che purtroppo esiste ancora oggi in molte parti del mondo e costituisce il dramma delle spose bambine. Non è da sottovalutare il forte impatto psicologico e la violenza emotiva che le donne subivano nel corso dei secoli, costrette ad accettare matrimoni, a procreare contro la propria volontà.

Analoga la situazione anche nel mondo germanico dove la figura femminile era relegata ad un ruolo subalterno.

Quello che possiamo notare è che, malgrado l’avvicendarsi delle varie epoche storiche e i numerosi cambiamenti che a questo si accompagnavano, la condizione femminile non è mai arrivata ad un vero punto di svolta, anzi il miglioramento delle sue condizioni è stato sempre troppo lento rispetto al progresso della società.

Anche con l’avvento del Medioevo le cose non cambiarono molto.

Nel momento in cui la donna contraeva matrimonio ereditava una dote che però non poteva neppure amministrare direttamente in quanto questo era compito del marito.

Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 le donne in occidente cominciarono una fitta serie di proteste e manifestazioni per migliorare la loro posizione. Già da qualche tempo la filosofia cominciava ad occuparsi della questione femminile ed un ruolo importante lo ebbero i paesi occidentali avanzati, in particolare USA, Francia e Inghilterra.

Rimanendo in Europa, alle origini del femminismo infatti troviamo due figure di grande rilievo: in Francia  Olympe De Gouges ed in Gran Bretagna Mary Wollstocraft.

La prima era una ferma sostenitrice della rivoluzione francese ed è famosa soprattutto per aver pubblicato “La declaration des droits de le femme e de la citoyenne (Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina). Nemica giurata di Robespierre venne catturata e morì ghigliottinata.

Un’ altra donna illustre fu l’ inglese Mary Wollstoncraft che ebbe una vita non meno tormentata della prima, compagna dell’ anarchico William Godwin pubblicò niente di meno che “A vindication of women rights”( Una rivendicazione dei diritti della donna).

Il femminismo nasce e si sviluppa dividendosi in due correnti, il femminismo liberale ed il femminismo socialista.

Le correnti liberale e socialista rappresentavano gli interessi di due categorie di donne, appartenenti a classi sociali differenti. Da una parte la classe media che vedeva la donna in posizione economica privilegiata ma priva di autonomia e mantenuta dall’uomo, dall’altra le donne operaie , costrette a lavorare nelle fabbriche in concorrenza ed in conflitto col mondo maschile.

 

In Italia le donne che hanno rappresentato le due correnti sono per l’area socialista Anna Maria Mozzoni ed Anna Kulishov, in particolare quest’ultima impegnata in una battaglia nel suo stesso partito contro Turatti, accusato dalla stessa di non mettere al centro del dibattito la questione femminile e di assumere un atteggiamento paternalista nei confronti delle donne.

Impegnata nell’area liberale ricordiamo Ersilia Majno Bronzini, fondatrice a Milano insieme ad altre tre donne de L’ Unione Femminile  Nazionale.

Bisogna ammettere che nei fatti le due guerre hanno contribuito loro malgrado all’ emancipazione femminile poiché molte donne andarono in massa a lavorare occupando i posti dei mariti impegnati al fronte e una volta finiti i conflitti non vollero più ritornare alla loro precedente condizione.

Le lotte non si arrestarono più ed uno dei risultati più importanti fu la conquista del diritto di voto un po’ovunque anche se in Italia questa conquista fu molto tardiva rispetto al resto del mondo.

La Costituzione repubblicana sancì l’uguaglianza nei diritti delle donne e degli uomini e nel 1975 la patria potestà fu sostituita dalla potestà genitoriale, parificando la posizione della madre a quella del padre rispetto all’educazione dei figli.

Purtroppo però nella pratica  questa tanto ambita parità non è stata ancora raggiunta e vediamo la donna penalizzata in ogni settore.

È davvero singolare che non ci sia una parte del globo dove la donna sia davvero considerata alla stregua dell’uomo e vediamo che questo accade anche indipendentemente dal credo religioso. Certo nel mondo islamico ad esempio la violazione dei diritti è maggiore ma ciò non deve indurci a credere che nel mondo occidentale la situazione sia migliore.

L’odio verso le donne sfocia spesso e troppo frequentemente in atti violenza di vario tipo, ad ogni latitudine.

La strage di Atlanta, ad esempio, mette in evidenza il fenomeno dell’ odio contro le donne asiatiche, e negli ultimi mesi i fatti della Polonia ci hanno dimostrato che è in atto un tentativo non solo di frenare la conquista di nuovi diritti ma di boicottare anche quelli già acquisiti, come l’aborto.

 

Nei giorni scorsi ad Ischia è stata brutalmente uccisa dal marito una nostra collega e questo è solo uno dei tanti femminicidi. Tante, troppe donne vittime di un odio atavico, tramandato da generazione in generazione attraverso un’ educazione maschilista e patriarcale.

Non basta punire chi uccide ma bisognerebbe agire da un punto di vista culturale ed educativo per eliminare quel sessismo che ciascun uomo si porta dentro come riflesso di un’educazione malata. Da qui bisognerebbe partire. L’odio verso la donna, la prevaricazione, credere di poter decidere per essa e di poter disporre della donna sono tendenze ancora persistenti e si nutrono di paradigmi e stereotipi che solo attraverso un’ azione culturale possono essere realmente ribaltati. Questi schemi ci vengono inculcati sin da bambine ed è solo attraverso una rivoluzione educativa che possiamo influire positivamente sulle nuove generazioni, educando alla tolleranza, alla parità, ed alla libertà di entrambi i sessi e quindi all’emancipazione, quella vera.

 

Ersilia e Clelia Pistillo

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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