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LA VITA STRAORDINARIA DI GIOVANNI PALATUCCI

LA VITA STRAORDINARIA DI GIOVANNI PALATUCCI

Nato a Montella, in provincia di Avellino, da Felice e Angelina Molinari, era nipote di
Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna. Compì gli studi presso il Ginnasio
“Dionisio Pascucci” di Dentecane di Pietradefusi e il Liceo Classico “Pietro Giannone”
di Benevento. Dopo la maturità conseguita a Salerno nel 1928, svolse nel 1930 il servizio
militare a Moncalieri come allievo ufficiale di complemento.

Iscritto al Partito Nazionale Fascista, nel 1932 conseguì la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Torino,
discutendo una tesi in diritto penale sul rapporto di causalità con il professor Eugenio
Florian. Nel 1936 giurò come volontario vice commissario di pubblica sicurezza.
Nel 1937 venne trasferito alla questura di Fiume come responsabile dell’ufficio stranieri e
poi come commissario e questore reggente.
Nella sua posizione ebbe modo di conoscere l’impatto che le leggi razziali ebbero sulla
popolazione ebraica. In quel contesto, cercò di fare quello che la sua posizione gli
permetteva, creando attraverso una rete di amici una strada per salvare tanti ebrei dai
campi di sterminio come, tanto per citarne qualcuno, la famiglia di Carl Selan I «protetti» cit.
In una lettera ai genitori scrisse: «Ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i beneficiati da
me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di
speciale da comunicare».
Un calcolo approssimativo ha stimato in più di 5.000 il numero di persone che Giovanni
Palatucci aiutò a salvarsi durante tutta la sua permanenza a Fiume.
Nel novembre 1943 Fiume, pur facente parte della Repubblica Sociale Italiana, di fatto
entrò a far parte della cosiddetta Zona d’operazioni del Litorale adriatico, controllata
direttamente dalle truppe tedesche per ragioni d’importanza strategica e il comando
militare della città passò al capitano delle SS Hoepener. Pur avvisato del pericolo che
correva personalmente, decise di rimanere al suo posto.
Il Console svizzero di Trieste, un suo caro amico, gli offrì un passaggio sicuro verso
la Svizzera, offerta che Palatucci accettò, inviando al suo posto la sua giovane amica ebrea,
originaria di Karlovać, Mika Eisler (al secolo Maria) – di cui molto si è scritto sulla sua liaison
con Palatucci – che, ritrovandosi da sola dopo la separazione dal marito, un certo Weiss,
per scongiurare il pericolo che incombeva su di lei e la propria famiglia, fu costretta ad
abbandonare precipitosamente il proprio paese per rifugiarsi a Fiume dove, poco dopo, fu
raggiunta dalla madre Dragica Braun.
Per contrastare ulteriormente l’azione del comando tedesco, Palatucci vietò il rilascio di
certificati alle autorità naziste se non su esplicita autorizzazione, così da poter aver notizia
anticipata dei rastrellamenti e poterne dar avviso. Inoltre inviava relazioni ufficiali al
governo della Repubblica Sociale Italiana per segnalare continue vessazioni, limitazioni
nello svolgere le proprie attività e il disarmo dei poliziotti italiani da parte dei tedeschi.
Egli si preoccupò anche dell’istituzione di uno “Stato Libero di Fiume”, per far sì che questo
territorio, che correva il rischio di dover venir ceduto dall’Italia alla Jugoslavia, mantenesse
una sua indipendenza. Fu proprio con l’accusa formale di cospirazione e intelligenza con il
nemico in seguito al «rinvenimento di un piano relativo alla sistemazione di Fiume come
città indipendente, tradotto in lingua inglese» che il 13 settembre 1944 venne arrestato dai
militari tedeschi e tradotto nel carcere di Trieste.
Il 22 ottobre venne trasferito nel campo di
lavoro forzato di Dachau, dove morì due mesi prima della liberazione, a soli 36 anni.

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Grazia Bonazzi
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