728 x 90

Natale a Teora – a cura di Emidio Natalino De Rogatis-

Natale a Teora – a cura di Emidio Natalino De Rogatis-

NATALE: una parola che rievoca emozioni, sensazioni, aspettative, ricordi.

Non c’è al mondo persona o comunità, anche negli angoli più remoti del pianeta, che non sappia cosa sia il Natale, quanto meno  per sommi capi, e in ognuno, per motivi diversi, suscita sempre e comunque qualche pur piccola curiosità e/o attesa.

Nella nostra ricca e variegata Italia, non c’è città, paese, borgo, che non abbia le sue tradizioni, fatti di usi e costumi che caratterizzano il proprio “campanile” rispetto all’evento del Santo Natale.

Non c’è comunità “che si rispetti” che non mantenga vive tutte quelle tradizioni peculiari del Natale e che caratterizzano anche sotto l’aspetto culturale, nonché religioso, il proprio luogo.

Teora, questo ameno paesino posto nell’entroterra Irpino, immerso nel verde delle sue colline, a ridosso tra le valli dell’Ofanto a levante e del Sele a ponente, ne annovera parecchie e  nel tempo ha cercato sempre di perpetuarle e tenerle vive.

Comincio a parlarvi del Natale di Teora partendo da una sorta di cronologia, perché, dopo la festività del  Convivio del 21 novembre, si entrava già nel clima natalizio e i vari quartieri di  Teora si mettevano in movimento per la cosiddetta ricerca della legna, per poter fare il falò più grande per il Santo Natale.

Prima degli anni sessanta si andava per le contrade di campagna con carriole e delle lettighe delle “vaijardi” per raccogliere la legna, che veniva donata per la devozione  al Bambin Gesù. A Partire dagli anni sessanta si cominciò a fare il giro per le contrade con camioncini e furgoncini. Ricordo quello del mio quartiere, “La Chiazz”, prospiciente la bella Chiesa della Congrega, che si faceva ad opera del compianto Raffaele De Rogatis  detto Santariello.  Veniva aiutato da tutti i ragazzi del quartiere e i mezzi meccanici venivano messi a disposizione dalle famiglie Cappetta e Lepore. Parte della raccolta della legna veniva usata per il falò dell’Immacolata, anche con una raccolta mattutina presso le famiglie del quartiere con qualche ciocco di legno, che donavano sempre per la devozione. Ma il grosso della legna, stipata (accatastata) in uno slargo laterale (Sotto L’Arco della Congrega) serviva per il grande falò di Natale detto dialettalmente “Lu Pagliar’ d’ Natal’ “.

In una sorta di sfida e/o competizione, oltre al falò de La Chiazz’, vi era il Falò di Pazza San Pietro (per la presenza della piccola cappella dedicata a detto Santo): erano i due falò più grandi di Teora. Poi c’erano quello di Piazza Castello o Ortore (poi G. Bruno) e quello di Trantino adiacente la Chiesa di San Vito, già Largo Ferrer, già Largo Europa, oggi Piazzale Padre Pio..

I falò avevano una sorta di pennone, una pertica centrale detta “Albanella” rigorosamente di Ontano, ed anche per la lunghezza vi era una sorta di sfida. Talvolta era pericoloso, perché, quando bruciata alla base e prossima alla caduta, si cercava, per quanto possibile di farla cadere senza fare “troppi danni”.

Il falò del quartiere Piazza Congrega veniva acceso alle ore 20,00 dal capomastro, nella fattispecie dal Mitico Santariello. Il falò doveva essere acceso a quella tale ora, per far sì che la processione, dopo la messa di Mezzanotte, non lo trovasse né fievole né molto focoso.

Dopo l’accensione del falò si andava a tavola per la cena della vigilia.

Il Falò del Quartire Piazza Congrega all’epoca era il più frequentato, intorno giocavano una moltitudine di bambini e ragazzi e si accendevano mille mortaretti.

Questo scoppiettio ti accompagnava in tutti i momenti della giornata, fino a notte fonda in attesa del passaggio della processione dopo la messa di mezzanotte.

C’era un gran viavai nelle strade del paese: i ragazzi e le ragazze uscivano per strada per fare sfoggio dei loro abiti nuovi. Il cappotto, nonostante le raccomandazioni della mamma, finiva sempre per bruciarsi con le faville svolazzanti del falò!

Ogni famiglia aveva il suo buon presepe e l’albero. L’albero di Natale cominciò a prendere piede nei primi anni ’60. Furono i soldati americani stanziati in Italia alla fine del secondo conflitto mondiale che mostrarono questa loro tradizione, che poi nel tempo è divenuta anche nostra.

Il presepe nelle famiglie veniva fatto tra il 6 dicembre, San Nicola, che è anche il patrono di Teora, e l’Immacolata. A casa di Santariello tutto questo era un rito e per dare compiutezza “all’opera” ci volevano tre giorni buoni.

Nella prossimità del Santo Natale, tra il 21 ed il 22 dicembre, ci si recava dal bottegaio di fiducia (generi alimentari) per fare gli acquisti di cibarie per il Santo Natale, ed erano questi: un barattolo di miele, alici salate sfuse, mostaccioli sfusi, roccocò, fichi secchi sfusi o infilati da spiedi di canna, una bottiglia di spumante “Asti dolce” ed un panettone con uvetta e canditi. Questo era quanto … non c’era altro, solo in seguito si ebbero altri prodotti esotici come i datteri e l’ananas, anche le banane all’epoca si avevano raramente.

Le massaie in questi giorni di preludio al Santo Natale erano tutte intente nella preparazione dei dolci tipici del Natale, che erano: i panzerotti di castagne e ceci, le zeppole natalizie (senza patate), gli struffoli e le “rospe” , delle frittelle sferiche, fatte di pasta di zeppola, con l’aggiunta di un’acciuga all’interno e fritte in abbondante olio. Si pensa sia una tradizione nata con San Nicola, perché la loro forma ricorda le tre sfere che il santo reca nel palmo della mano, dette anche Pittole o Puttole.

Nei tempi antecedenti v’era pure una pignatta di terracotta, con manici ed un foro nel fondo del recipiente, detto il “cacazeppole“: era con questo strumento che si facevano le zeppole fritte in olio, andato in disuso nel tempo perché ci voleva molta accortezza e maestria per poterlo maneggiare .

Una pietanza tipica del Natale teorese sono “ li paparuel chin” i peperoni pieni. Per questa pietanza agrodolce, si usano peperoni interi sotto aceto, detti “alla cumpost” e si farciscono con pane raffermo abbrustolito, con l’aggiunta di noci, acciughe, uvetta, ed il tutto amalgamato col vincotto. Poi ogni famiglia ha le proprie ricette, ed ogni massaia propone la sua versione come la più tipica e buona.

Era una gioia poter assaggiare le prime zeppole che, ancora calde, venivano zuccherate, oppure i panzerotti, sempre caldi e glassati col miele.

La sera della vigilia il nonno, prima di mettersi a tavola, riuniva tutta la famiglia intorno al caminetto, e dopo aver messo il ciocco di legno più grosso e bello, recitava il Santo Rosario.

Vorrei raccontare un aneddoto che riguarda il sottoscritto. Negli anni ’60 vi erano poche famiglie che per il Natale usavano cucinare il capitone. Mio padre, Santariello, che sovente si recava a Napoli e ad Avellino, lo acquistava vivo anche con dei tranci di “tonnetto” che si cucinavano alla pizzaiola. Era il Natale del 1963, quando all’alba del 24 dicembre, mia madre, Nicolina, mi diede alla luce, nella casa di famiglia posta in Via Ruggero Bonghi 16.

Per l’evento, la casa si riempi di familiari, per lo più di sesso femminile che erano le Zie, cognate di mia madre, ma anche di persone del vicinato che si recavano per fare gli auguri. Ad un certo punto, nella casa si alzarono delle urla da parte delle Zie, perché avevano visto dei serpenti neri aggirarsi sul pavimento della cucina. Quando si capì che si trattava di tre capitoni scappati dalla pentola, furono acchiappati da mio padre, e siccome non ne aveva mai ammazzato uno (gli faceva senso), furono portati a mia madre, che giaceva a letto con me vicino, e fu lei, che a poche ore dal parto, e nello stesso letto, dovette mozzare le teste ai capitoni. Una storia più unica che rara.

A Teora c’è sempre stata una grande passione e tradizione presepiale, tanto che se ne facevano di molto belli nelle chiese, sia a San Nicola che a San Vito. C’erano gruppi di giovani artigiani, talvolta tornati per le ferie anche dall’estero, che si adoperavano per la creazione del presepe. Alcuni presepi, fatti da privati a Teora nei primi anni 60, furono premiati a concorsi nazionali dai F.lli Restaino. Per il Natale del 1977, fui il promotore del presepe che si tenne per la prima volta nella Chiesa della Congrega (Santa Maria delle Grazie), nella navata dell’Altare di San Giuseppe. Dopo il sisma dell’80 il presepe fu realizzato più volte in San Vito.

La messa di mezzanotte è caratterizzata da canti in latino come il Kirie ed il Gloria, a due voci tra il coro e l’assemblea orante. Si intrecciano canti nuovi a canti della cultura classica del Natale, come il “Tu scendi dalle Stelle” di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, “Dormi dormi”,  “Scendi dall’Alto Trono”, “Si Fermarono i Cieli” etc.

Al termine del rito religioso, che termina verso l’una di notte, al suono delle campane che a distesa suonano a festa, viene portato in processione il Bamb Gesù da due figuranti che fungono da San Giuseppe e la Beata Vergine Maria.

Il Bambin Gesù, dopo la sua nascita, viene presentato al mondo proprio dalla processione che, “toccando” i vari falò nel percorso, sta a simboleggiare la luce nuova che è venuta nel mondo. I falò sono anche il simbolo dell’attesa e dell’annuncio che gli Angeli fecero ai pastori, mentre vegliavano le lo greggi, della nascita del Messia invitandoli ad andare ad adorare presso la grotta di Betlemme. Ma per il popolo il falò serve a riscaldare le fasce, fredde ed umide, che devono avvolgere il neonato Bambin Gesù nel freddo della notte.

Negli anni 60 e 70, per ragazzi dell’epoca era piacevole trattenersi ancora qualche ora vicino al falò a conclusione della processione. Si  mettevano a cuocere le patate sotto la cenere e. a cottura ultimata c’era sempre pronto un fiasco di vino per poter meglio accompagnare le patate. Ci si tratteneva facendo bisbocce, ma capitava sempre che ci fosse presente qualche persona più anziana, cha dall’alto della sua esperienza e saggezza, raccontava aneddoti e fatti del passato, talvolta di etica e talvolta a sfondo esilarante.

Per il Natale ci scambiavamo solamente gli auguri. Era a capodanno che i nonni ti davano la strenna. Non arrivava Babbo Natale, ma era la Befana a portare qualche ninnolo. Mia nonna, per la sua Befana, mi metteva nella calza quaderni, penne, colori e mandarini.

Quanti ricordi e quante emozioni nel rammentare un mondo passato! Profumi di un tempo spariti per sempre.

Il Natale comunque continua ad avere il suo “spirito” e a suscitare ancora oggi sentimenti puri, che sanno di famiglia, amicizia, di solidarietà ed amore. Purtroppo i tempi moderni e la globalizzazione hanno un po’ stemperato il vero senso della festività del Santo Natale, dando spazio al consumismo e ad azioni alternative.

L’Augurio che faccio a tutti in questo periodo d’Avvento, in preparazione al Santo Natale, è quello di riscoprire i veri segni dei tempi, indubbiamente duri, aspri, anomali sotto certi aspetti, ma che ci inducono  a riflettere. Facciamolo e cerchiamo di tirare fuori tutto il meglio dalle nostre storie familiari e personali, e di affrontare ed abbracciare quello che verrà nella “speranza” che solo la nascita di Gesù ci può dare con tanto amore e serenità da condividere con il prossimo.

Termino col dire: riscopriamo il buono delle nostre tradizioni, sono la nostra Cultura e  storia. Senza di esse non esiste futuro.

AUGURI!!!!! AUGURI!!!! AUGURI!!!!

4 commenti
Silvia De Simone
Silvia De Simone
ADMINISTRATOR
PROFILO

Articoli Correlati

Lascia un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati con *

4 Commenti

  • Avatar
    Mimmo
    30 Dicembre 2020, 2:23

    Grande Emidio, figlio di Ssntariello. Buon sangue non mente!

    RISPONDI
  • Avatar
    Antonella Lardieri
    31 Dicembre 2020, 0:50

    È meraviglioso pensare che queste belle e profonde tradizioni non siano ancora solo vive nella memoria, ma che sono ancora attuale… Speriamo che quest’anno anomalo non crei nessun distacco anche da questo particolare e caratteristico proseguimento del passato… Auguri a tutti

    RISPONDI
  • Avatar
    Antonietta Cordasco
    31 Dicembre 2020, 13:56

    Grazie Emidio per questa vivida orgogliosa e sentita rievocazione di Natali trascorsi e mai dimenticati, vissuti all’insegna della vera tradizione. Ricordi affievoliti riaffiorano e risuonano come invito, soprattutto in questo momento a cogliere l’occasione per riscoprire il significato profondo del Natale: ripartire dall’essenzialità.

    Antonietta & Lucio

    RISPONDI