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Storia di un commissario coraggioso

Storia di un commissario coraggioso

Un poliziotto, un commissario, ma soprattutto un uomo di grande umanità e generosità è Giovanni Palatucci, lo Schindler irpino che nasce a Montella il 31 maggio 1909.
Dopo gli studi e un breve incarico come vice commissario di pubblica sicurezza a Genova, nel 1937 viene trasferito a Fiume come funzionario addetto all’Ufficio Stranieri, ruolo che lo metterà a contatto con la dura realtà della condizione sia degli ebrei italiani che dei profughi ebrei dell’Austria, della Cecoslovacchia e della Polonia, i quali attraversavano i confini clandestinamente per evitare i campi di concentramento. Sarà in seguito assegnato alla Questura di Fiume in qualità di reggente.
Numerosi sono stati i tentativi di persuaderlo a lasciare la città, ma lui rispondeva: «Fino a che su Fiume sventolerà il tricolore, io resterò qui».
Per questi profughi, su ordine di Mussolini, è prevista l’espulsione e la consegna ai nazisti.
Come reggente della Questura si attiva per organizzare la loro fuga, grazie a documenti falsi e all’aiuto di poliziotti, nonché di ecclesiastici sparsi in tutta Italia.
Molti vengono inviati a Campagna, comune del salernitano, dove lo zio vescovo, Giovanni Maria Palatucci, li protegge e li nasconde presso chiese, conventi e comunità religiose.
Il giovane Palatucci rifiuta, con decisione, qualsiasi tipo di omaggio o segno di gratitudine, sorpreso che il suo aiuto debba essere ricambiato in qualche modo.
I suoi continui tentativi di salvare vite umane -si calcola che abbia salvato più di 5000 Ebrei -durano fino al 1944, quando viene arrestato con l’accusa di cospirazione e alto tradimento, rinchiuso nel carcere di Trieste, torturato, senza che dalla sua bocca esca mai alcun nome, né di colleghi, né di ebrei, né di oppositori, e infine condannato a
morte. Il console svizzero di Trieste, suo caro amico, riesce a far commutare la pena e così Palatucci viene trasferito nel campo di sterminio di Dachau, assegnato alla baracca 25 come prigioniero politico di nazionalità italiana.
Trascorre in quel luogo gli ultimi mesi della sua vita, indossando una casacca con un piccolo triangolo rosso e con al centro la lettera I, fino al giorno in cui sopraggiunge la morte in seguito agli stenti e alle sevizie subite e il suo corpo viene gettato in una fossa comune; è il 10 Febbraio 1945, 78 giorni prima della liberazione del lager da parte degli Alleati.
Emozionante il gesto che Palatucci riserva alla famiglia quando sul treno che lo avrebbe condotto a Dachau riesce a lanciare un biglietto per i suoi cari, con le indicazioni della loro residenza a Trieste, al caporale Capuozzo, recatosi in stazione con la speranza di poterlo salutare un’ultima volta.
«Capuozzo, accontenta questo ragazzo, avverti sua madre che lui sta partendo per la Germania, addio», riferendosi a sé stesso; quelle sono le ultime parole di Giovanni Palatucci e l’ultimo gesto di amore di un uomo che ha sacrificato la sua vita per gli altri.
È il coraggio di un uomo solo contro tutti, che si guarda intorno non sapendo di chi fidarsi.
È il coraggio di una scelta fatta non da un supereroe, ma da un uomo comune che di fronte al Male ha avuto il coraggio di reagire, di combattere e di fare.
Di lui rimane la memoria della sua persona e del suo importante esempio, come uomo e come poliziotto, predisposto ad un alto senso del dovere e a un’immediata comprensione per le sofferenze umane.
Numerosi sono i riconoscimenti a Giovanni Palatucci:
• 17 Aprile 1955: Medaglia d’oro alla memoria dall’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia;
• 12 Settembre 1990: Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, lo riconosce Giusto tra le nazioni;
• 15 Maggio 1995: la Repubblica italiana gli conferisce la Medaglia d’oro al merito civile;
• 21 Marzo 2000: inizia il processo di canonizzazione per la sua beatificazione;
• 7 Maggio 2000; Papa Giovanni Paolo II lo inserisce tra i martiri del XX secolo;
• Il 19 Maggio 2009: l’Italia emette un francobollo commemorativo in suo onore;
• Numerose sono le strade e le piazze a lui dedicate;
• A Montella, suo paese natale, gli viene dedicata la piazza e la scuola primaria.
A chi gli chiedeva perché fosse così generoso rischiando la vita, Palatucci rispondeva: «Vogliono farci credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano».
A mio avviso, questo è il pensiero che, involontariamente, Giovanni Palatucci è riuscito a trasmettere a noi giovani.
Il suo operato ha un valore educativo, soprattutto per le nuove generazioni.
Ritengo che, quanto tragicamente avvenuto, sia un veicolo per l’educazione ai valori della pace, del rispetto delle diversità e della dignità di ogni individuo; e che bisogna lottare contro l’antisemitismo, il razzismo e la xenofobia.
Bisogna ricordare e onorare coloro che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché omaggiare coloro che si sono opposti al progetto di sterminio, mettendo a rischio la propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Un altro messaggio importante per la nostra crescita, è quello di credere in noi stessi, di cercare di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati, anche se a volte ci sembra difficile o impossibile, è ciò che Giovanni Palatucci ha fatto, senza sprezzo del pericolo.
Voglio concludere con una frase, che sicuramente Palatucci avrebbe condiviso e che dovrebbe essere un mantra per tutto il genere umano, ovvero:
“Io appartengo all’unica razza che conosco: quella umana”. (Albert Einstein)

G.M, classe 3 sez. B

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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