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“Te piace ‘o presepio?”

“Te piace ‘o presepio?”

Gli alunni della classe 5 sez. C primaria di Lioni, le loro famiglie e le docenti tutte augurano un sereno Natale. 

Oltre al classico albero con luci e decorazioni varie, tra i simboli per eccellenza del Natale, c’è sicuramente il Presepe. Ma da dove arriva l’antica tradizione del Presepe? I primi a descrivere la Natività furono gli evangelisti Luca e Matteo: nel loro racconto c’è l’immagine di quello che poi nel Medioevo è diventato il “præsepium”, dal latino “mangiatoia”. Il presepe che tutti conosciamo, però, si deve alla volontà di San Francesco d’Assisi. L’idea di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Gesù Bambino, era venuta al Santo d’Assisi nel Natale del 1222, quando a Betlemme ebbe modo di assistere alle funzioni per la nascita di Gesù. Francesco rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni per il Natale successivo. A quei tempi le rappresentazioni sacre non potevano tenersi in chiesa, così il Papa gli permise di celebrare una messa all’aperto. Fu così che, la notte della Vigilia di Natale del 1223, a Greccio, in Umbria, San Francesco allestì il primo presepe vivente della storia: i frati con le fiaccole illuminavano il paesaggio notturno e all’interno di una grotta fu allestita una mangiatoia riempita di paglia con accanto il bue e l’asinello, ma senza la Sacra Famiglia. Il primo presepe con tutti i personaggi risale, invece, al 1283, per opera di Arnolfo di Cambio, scultore di otto statuine lignee che rappresentavano la Natività e i Re Magi. Da quel momento la consuetudine di allestire presepi nelle chiese iniziò a diffondersi rapidamente in tutto il Regno di Napoli. Intorno al 1500 nacque la cultura del presepe popolare grazie a S. Gaetano di Thiene il quale diede un decisivo impulso all’ammissione nel presepe anche di personaggi secondari. La nascita del “Figurinaio”, cioè del creatore di statuette, avvenne poi sotto il regno di Carlo III. Nel 1600 gli artisti napoletani diedero alla rappresentazione della Natività una nuova connotazione, introducendo anche scene di vita quotidiana e nuovi personaggi. Ed ecco, quindi, apparire sul presepe le statuette delle popolane, dei venditori di frutta, dei mendicanti, ecc. A partire da questo momento gli artigiani locali incominciarono a sbizzarrirsi, dando vita a figure di vario tipo fino a raggiungere l’apice nel 1700: il presepe napoletano che oggi realizziamo in prossimità delle feste natalizie è ambientato proprio in questo periodo. In questa rappresentazione Paradiso e Inferno, Bene e Male, Pagano e Cristiano coesistono. Ogni singola statuina, ogni singolo decoro, ogni luogo nascondono una simbologia, un significato ben preciso che va oltre la semplice raffigurazione della Natività.

A seguire, verrà esposto il lavoro degli alunni in relazione alla storia e alla simbologia di alcuni dei personaggi tipici del presepe napoletano del ‘700.
Il presepe napoletano conta 72 elementi fondamentali ed è diviso in due parti:
Mistero: costituito dalla natività e dal corteo dei magi.
Diversorio: comprende l’annuncio dell’angelo ai pastori e tutti gli aspetti profani e popolari quali ad esempio la taverna ed i venditori.

IL BUE E L’ASINELLO: l’asinello serviva a Maria per andare in città, dove trovare un posto per dormire la notte, e poter partorire Gesù. L’asinello rappresentava il male. Il bue serviva a riscaldare Gesù subito dopo la nascita e rappresenta il bene e la vita.

I RE MAGI: di loro non si sa molto, anche perché nel vangelo di Matteo, dove vengono nominati, non è specificato né il numero, né i nomi. Oggi sappiamo che i re magi erano tre: Melchiorre, Baldassarre e Gaspare. Tutti e tre erano sacerdoti, saggi, astrologi e, forse, astronomi. Venivano dall’antico Oriente, con cavalli di colore differente: Melchiorre bianco (il sole nascente), Gaspare rosso (il sole al tramonto), e Baldassarre nero (la notte). Seguendo la stella cometa, andarono a Betlemme con dei regali da portare al re dei giudei, Gesù, figlio dell’altissimo, che era nato da poco tempo. I loro doni erano: l’oro, perché è il dono riservato ai re; l’incenso, come testimonianza di adorazione alla sua divinità; e la mirra usata per il culto dei morti, perché Gesù è pur sempre mortale. Nel presepe napoletano, i re magi rappresentano il viaggio, infatti era usanza spostarli, avvicinandoli sempre di più alla grotta, in un preciso ordine cronologico. In alcuni presepi non ci sono solo tre re magi, ma anche la regina Mora che simboleggia la luna e un corteo di personaggi vestiti con abiti lussuosi in opposizione al popolo napoletano. Secondo una tradizione napoletana, i re magi si devono inserire nel presepe tra il 28 e il 30 dicembre, con uno dei tre in ginocchio e gli altri due in piedi alle sue spalle.

CICCIBACC ‘NGOPP A BOTT: è uno dei personaggi irrinunciabili nel presepe popolare, è il Bacco napoletano. Questo personaggio, come tutti gli altri, ha un ruolo simbolico. Infatti nel presepe c’è la grotta centrale riservata alla Natività e ce n’é un’altra che ha poco di sacro ma molto di profano: quella che ospita l’osteria, luogo di vizi e di eccessi. Ciccibacco è legato a questo posto perchè vi trasporta il vino. È un personaggio gioviale, un pò panciuto e dal volto rubizzo che mostra quella serenità che in genere è associata al vino, che il conducente del carro non si limita a trasportare. La scelta della collocazione delle due grotte non è casuale, ma indica la vicinanza tra il sacro e il profano e la sottile linea che li separa. Questa tendenza a mescolare queste due forme contrapposte nasce a partire dal 1600 per rappresentare la venuta di Gesù proprio nella quotidianità fatta di umili e reietti. Ciccibacco è rappresentato su una botte che richiama con le sue doghe il cerchio, simbolo anch’esso del tempo sospeso (la circolarità del tempo e l’eterno ritorno dell’uguale).

I PASTORI E LE PECORE: rappresentano il “gregge” dei fedeli che incontra Dio grazie alla guida avveduta dei pastori, i sacerdoti.

BENINO: è il pastorello immerso nel sonno che si trova proprio all’inizio del percorso presepiale. Collocato nel punto più alto, lontano dalla Grotta della Natività, è il pastore disteso in prossimità di un albero, che gli fa ombra, è disteso su un giaciglio d’erba, con la testa poggiata su di un sasso e contornato da pecorelle bianche nell’atto di pascolare. Benino, nome che ricorre anche nella celebre Cantata dei Pastori, è un personaggio di grande importanza nella simbologia del presepe Napoletano in stile ‘700. Così come tutti i pastori presenti, ha un ruolo e una collocazione ben precisa. Tutti aspettano la nascita di Gesù bambino, chi lo fa in modo attivo come il pastore della meraviglia, chi in modo passivo e chi addirittura dormendo.

IL PASTORE DELLA MERAVIGLIA: si chiama in questo modo ed è riconoscibile proprio grazie alla sua postura. Questo personaggio che non passa inosservato, è collocato vicino alla grotta di Gesù bambino e viene rappresentato con le braccia e le sguardo rivolto verso il cielo, uno sguardo pieno di stupore e meraviglia (da cui spiegato il nome del pastore). Secondo la leggenda legata al presepe, egli infatti dona il suo stupore, ovvero l’amore di Dio fatto bambino. Dunque nulla di materiale e di prezioso, ma a questo pastore è affidato l’arduo compito di offrire l’incanto della venuta del figlio di Cristo, un incanto che un buon cristiano non dovrebbe mai perdere ma che dovrebbe rinnovare ogni volta, come la sua fede. L’insegnamento di questo personaggio è sicuramente legato alla capacità da parte dell’uomo di stupirsi, di recuperare la semplicità dello sguardo di fronte a un Dio che, con la sua venuta, dimostra di non essere ancora stanco degli uomini ma che è pronto con la venuta di suo figlio a liberarli dai loro peccati.

I VENDITORI DI CIBO: sono dodici e rappresentano i dodici apostoli che seguono Gesù. Ce n’è uno per ogni mese e a seconda del mese che rappresentano portano un simbolo diverso. Gennaio è rappresentato dal macellaio o dal salumiere, Febbraio dal venditore di ricotta e formaggio, Marzo dal pollivendolo, Aprile dal venditore di uova, Maggio è rappresentato da una coppia di sposi con un cesto di frutta, Giugno dal panettiere e dal farinaio, Luglio dal venditore di pomodori, Agosto dal venditore di cocomeri, Settembre dal venditore di fichi o dal seminatore, Ottobre è rappresentato dal vinaio e dal cacciatore, Novembre dal venditore di castagne e Dicembre dal pescivendolo. Il vinaio e il fornaio, attraverso i doni del vino e del pane, simboleggiano l’Eucarestia, diffondendo il messaggio di morte e resurrezione al Regno dei Cieli.

I MENDICANTI, ZOPPI e CIECHI: come questi appaiono, sebbene solo in parte, privi dell’uso del proprio corpo, chi è cieco, chi è monco, chi è zoppo, così i defunti attendono di essere aiutati, attraverso le preghiere e le opere dei vivi. Sono anche questi elementi essenziali del presepe napoletano. Nel Presepe Napoletano vi sono delle figure significative che rimandano immediatamente all’idea della Vita dopo la Morte e al Culto dei Morti a Napoli. Queste sono le figure delle “anime pezzentelle” o “anime purganti”, (dal latino petere, cioè chiedere per ottenere) che nella scenografia presepiale sono rappresentate dai “pastori” detti Questuanti: i ciechi, i mendicanti, gli storpi, i gobbi e i bambini.

LA ZINGARA: è un pastore particolare nel presepe napoletano, infatti, se consideriamo la religione, non dovrebbe neanche esserci, visto che stregoneria o astrologia sono arti osteggiate dalla dottrina cristiana. Eppure anche questo personaggio ha un significato specifico: è allegoria della profezia incarnata dalle Sibille, che nelle sacre rappresentazioni di un tempo (in particolare quelle antiche e medioevali) assumevano un ruolo primario. Alla Sibilla Cumana, ad esempio, la tradizione attribuiva una leggenda natalizia: ella aveva predetto la nascita del Redentore, illudendosi di essere la vergine designata che lo avrebbe partorito, e quando udì gli Angeli annunziare la nascita di Cristo, si rese conto del suo peccato di presunzione e fu trasformata in civetta. La zingara è quindi un personaggio profetico, sicuramente erede della figura della Sibilla Cumana. Nel presepe napoletano è dunque una figura di grande importanza: essa è rappresentata da una donna adulta, sempre di pelle scura, con le vesti strappate che lasciano intravedere un seno florido e con in mano chiodi e arnesi in ferro; con le sue doti divinatorie sta annunciando nel giorno della nascita di Gesù anche il futuro del piccolo nascituro, ossia la sua Passione e Morte, attraverso gli strumenti della Crocifissione. Un personaggio negativo allora? Non proprio, se consideriamo che è proprio nel supplizio della Croce che si realizza la salvezza offerta da Gesù.

LA LAVANDAIA: rappresentava la testimone del parto verginale di Maria. Secondo alcuni Vangeli molte levatrici visitarono la Vergine, ma solo una volle accertarsi della sua verginità, toccandola. Quella mano rimase incenerita immediatamente, guarendo solo dopo aver toccato Gesù bambino. Nei presepi sono presenti diverse lavandaie che dopo aver lavato il Bambino stendono i panni candidi che simboleggiano la verginità di Maria.

I GIOCATORI DI CARTE: sono due: Zi’ Vicienz’ simbolo in Campania del Carnevale e della Morte e Zi’ Pascale, che rappresenta la Pasqua e la Resurrezione. Sono anche conosciuti come “i San Giovanni”, San Giovanni che ride e San Giovanni che piange, e si riferiscono ai due solstizi del 24 dicembre e del 24 giugno.

 

IL CACCIATORE E IL PESCATORE: il primo armato di fucile, sebbene per l’epoca in cui è ambientato il presepe napoletano, possa sembrare anacronistico, simboleggia la morte e sta vicino alla parte alta del fiume. Il secondo invece, di solito, è mezzo svestito, con una camicia aperta sul petto e pantaloni arrotolati sotto il ginocchio. A volte porta la canna da pesca, a volte no, ma ha sempre accanto a sé il banco del pesce, un’altra delle figure caratteristiche del presepe napoletano. Rappresenta la vita, ma anche il basso-inferno, l’Ade, contrapposto all’alto-mondo celeste incarnato dal Cacciatore. Ma il Pescatore richiama anche San Pietro, il ‘pescatore di anime’, e in generale la simbologia del pesce utilizzata ai tempi delle persecuzioni ai cristiani per indicare Gesù.

IL MONACO: è il simbolo dell’unione tra sacro e profano.

STEFANIA: è una donna vergine che, quando nacque il Redentore, si incamminò verso la Natività per adorarlo, ma fu fermata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la Madonna che aveva da poco partorito. Allora Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce fingendosi madre e, ingannando gli angeli, riuscì ad arrivare al cospetto di Gesù il giorno successivo. Ma quando fu alla presenza di Maria, si compì un miracoloso prodigio: la pietra starnutì e divenne bambino: Santo Stefano, il cui compleanno si festeggia il 26 dicembre.

Per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici e naturali, anche essi hanno una forte valenza simbolica che spesso intreccia sacro e profano. Tutta la rappresentazione è misterica e vi sono due aspetti fondamentali a sottolinearlo, ovvero il tempo sospeso e l’ambientazione notturna. Elemento essenziale del presepe napoletano è la sua struttura, il paesaggio infatti è montuoso e pieno di sentieri tortuosi, disseminati di pastori che scendono verso la grotta, che si trova al centro, nel luogo più basso con altre grotte laterali più piccole in cui ci sono le greggi e il pastore nell’atto di scaldarsi accanto al fuoco. La grotta è raggiungibile solo tramite impervi sentieri, un viaggio in “discesa” verso le viscere della terra dove, vincendo le angosce del buio e della notte, si partecipa alla nascita del sole e al trionfo della luce.
L’immancabile cielo stellato, si collega all’evento della «stella cometa» della Natività che pre-annunciò la nascita del Re dei re. Nell’antichità le comete sono state spesso fonte di ansie, paure, superstizioni e disgrazie, associate alla caduta di un regno o alla morte di un principe. Sul presepe napoletano la stella cometa assume aspetti positivi e benauguranti: simboleggia l’incontro e la riconciliazione tra ordine e caos. Il cielo stellato indica il percorso misterico in ciò che era “celato” e infine rivelato.
Il Fiume: un chiaro riferimento al tempo che scorre, come l’acqua. In tutte le mitologie è legato alla morte e alla nascita divina. Nel caso della religione cristiana esso richiama il liquido in cui è immerso il bambino nel grembo materno e, allo stesso tempo l’Acheronte, il fiume degli inferi in cui vengono traghettati i dannati.
Il pozzo: elemento ricorrente nel presepe napoletano e rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee. È inoltre un oggetto carico di significati simbolici e leggende natalizie: ad esempio i contadini non andavano mai ad attingere acqua dal pozzo la notte di Natale, perché si credeva che l’acqua contenesse spiriti diabolici capaci di possedere colui che l’avesse bevuta. Un’altra leggenda campana vuole che nei riflessi dell’acqua attinta dal pozzo apparissero i volti di tutti coloro che sarebbero morti entro l’anno.
La Fontana: è onnipresente in qualsiasi Presepe, e anche ad essa sono attribuite rappresentazioni magiche relative alle acque che provengono dal sottosuolo. La donna alla fontana, che generalmente si rappresenta, è la Madonna stessa, che secondo alcuni vangeli apocrifi pare stesse attingendo acqua alla fonte nel momento dell’Annunciazione. Nei racconti popolari campani è sempre vicino alle fontane che avvengono gli incontri amorosi e le apparizioni fantastiche.
Il Ponte: altro elemento sempre presente, rappresenta il transito e il limite che collega il mondo dei vivi e quello dei morti, soprattutto in periodo natalizio. Spesso a Napoli, nel giorno dell’epifania accanto al ponte venivano aggiunte dodici figurine di frati scalzi e incappucciati che mostravano il pollice della mano sinistra: essi rappresentavano i mesi morti che al seguito dei Magi, ritornavano nell’aldilà.
Il Mulino: Le ruote o le pale che girano sono simbolo dello scorrere del tempo, con una chiara allusione al nuovo anno immaginato come una ruota che riprende a girare. Il suo significato profondo di produttore di farina bianca (antico simbolo della morte) che in questo caso assume valenza positiva per il fatto che diventa pane.
Il Forno: è un richiamo alla nuova dottrina cristiana che vede nel pane e nel vino i propri fondamenti, nel mondo dell’Eucarestia.
L’Osteria: ha in se tanti significati, primo tra tutti il viaggio e i suoi rischi. Essa allude proprio al viaggio di Giuseppe e Maria in cerca di alloggio. Ad essa si associa anche il significato rituale del mangiare con riferimento alla vita materiale contrapposta a quella spirituale; infatti l’osteria è posta accanto alla grotta.
La terracotta è un elemento materico usato spesso. Narra una leggenda che la mangiatoia presente nella grotta dove è nato Gesù era fatta di argilla, modellata in cento fogge dai Palestinesi e fu distrutta nel II secolo d.C. per ordine di Adriano. Alcune reliquie ‘schegge’ delle presunta mangiatoia apparvero in Occidente e furono particolarmente venerate.
La realizzazione del presepe racchiude quindi tutta una serie di simboli che mettono in scena il bene e il male, il sacro e il profano e, implicitamente, la vita e la morte. Oggi, però, il presepe napoletano è anche uno specchio degli avvenimenti principali dell’anno che si è concluso. Recandosi tra le bancarelle dei maestri artigiani a San Gregorio Armeno, possiamo trovare, fianco a fianco ai classici pastori, statuine di politici e calciatori, attori e cantanti. Quindi, il Presepe Napoletano moderno, che mette in scena pastori, personaggi e significati, non è soltanto una tradizione nata secoli fa, ma racconta la cultura e la storia, passata e presente. E una volta completato, adagiata l’ultima casetta e sistemato l’ultimo pastorello, non dobbiamo mai dimenticarci di chiedere: «Te piace ‘o presepio?»

Ricerca realizzata dagli alunni e le insegnanti della classe 5C primaria di Lioni

Anche un nonno vuole dedicarci un augurio in versi!

 

Carla Capponi
Carla Capponi
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