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23 novembre 1980

23 novembre 1980

Il terremoto dell’Irpinia del 1980 fu un sisma che si verificò il 23 novembre di quell’anno e colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. Fu caratterizzato da una magnitudo di 6.9 con epicentro tra i comuni dell’alta Irpinia e causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti.

I resoconti dell’Ufficio del Commissario Straordinario hanno quantificato i danni al patrimonio edilizio. È risultato che dei 679 comuni, 506 (il 74%) sono stati danneggiati. Le tre province maggiormente colpite sono state quelle di Avellino (103 comuni), Salerno (66) e Potenza (45). Trentasei comuni della fascia epicentrale hanno avuto circa 20.000 alloggi distrutti o irrecuperabili. In 244 comuni altri 50.000 alloggi hanno subito danni da gravissimi a medio-gravi. Il 23 novembre 1980, alle ore 19.34, la terra tremò per un minuto e venti interminabili secondi che portarono alla morte di circa 3.000 persone, 70.000 case distrutte, danni per 8.000 miliardi di lire che ad oggi varrebbero più di 4 miliardi di euro e oltre 280.000 di sfollati. Un ulteriore danno fu apportato dal ritardo dei soccorsi. Furono molteplici: la difficoltà di accesso dei mezzi di soccorso nelle zone dell’entroterra, dovuta all’isolamento geografico delle aree colpite e al crollo di ponti e strade di accesso, il cattivo stato della maggior parte delle infrastrutture e l’assenza di un’organizzazione di protezione civile che consentisse azioni di soccorso in maniera tempestiva e coordinata. Il primo a far presente questa grave mancanza fu il presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Il 25 novembre, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri, Pertini si recò in elicottero sui luoghi della tragedia.

Il 25 aprile 1981, a 153 giorni dal terremoto, gli alloggi in legno tipo chalet realizzati dal gruppo Rubner – che si insediò nel 1990 in Irpinia con uno stabilimento di produzione a Calitri – diventarono 150, per un totale di 450 persone ricoverate. La ricostruzione fu, però, anche uno dei peggiori esempi di speculazione su una tragedia. Il numero dei comuni colpiti, però, fu alterato per losche manovre politiche e camorristiche lievitando nel corso degli anni. Alle aree colpite, infatti, venivano destinati numerosi contributi pubblici, ed era interesse dei politici locali far sì che i territori amministrati venissero inclusi in quest’area. La ricostruzione, nonostante l’ingente quantità di denaro pubblico versato, fu per decenni incompleta. A Torre Annunziata attualmente esistono due quartieri, Penniniello e il Quadrilatero delle Carceri, distrutti dal terremoto del 1980, ma malgrado le ingenti somme di denaro che si sono continuate a stanziare – 10 milioni di euro per il primo nel 2007, 1,5 milioni di euro per il secondo nel 2009 – ancora non è stata completata la loro ricostruzione.

I contributi per il rilancio economico

Sul modello del terremoto del Friuli, la ricostruzione anche in Irpinia venne incentrata sul rilancio industriale. Nonostante il territorio non presentasse caratteristiche industriali già da prima del sisma, la pioggia di contributi costituì una tentazione irrefrenabile per molti. Il meccanismo di captazione dei fondi pubblici prevedeva la costituzione di imprese che fallivano non appena venivano intascati i contributi. Il costo finale fu dodici volte superiore al previsto in provincia di Avellino e diciassette volte in provincia di Salerno. Secondo la relazione finale della Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a punte «di circa 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie». Nel 2000, 76 aziende risultavano già fallite, ma solo una piccola parte dei contributi era stato recuperato.

Fatto da G.R., L.G. e S.D’A., classe III sez. D

Silvia De Simone
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