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                            … Di quegli indimenticabili 90 secondi…

                            … Di quegli indimenticabili 90 secondi…

Come è possibile cancellare la storia di un paese in soli 90 secondi? È quello che migliaia di persone si stanno chiedendo ancora oggi, dopo quasi 42 anni dal devastante terremoto del 23 novembre 1980 che in Irpinia segnò la vita di moltissime persone. Io, fortunatamente, non sono stata una testimone oculare ma, dalla testimonianza di mia nonna, ho capito che, purtroppo, mi appartiene…Con le labbra tremolanti e lo sguardo rivolto verso il basso, mia nonna inizia a raccontare: “Era proprio una bella giornata! Il sole stava calando ed io ero contenta perché il bel tempo mi aveva permesso di svolgere tanti lavori nella campagna. Tuo nonno, invece, aveva trascorso tutta la giornata sul tetto di casa, sperando di aggiustare l’antenna, ma non riuscì perché gli mancava un pezzo importante. Così decise di andare da Padre Fraziario, allora Frate nel Santuario di San Rocco e bravo radio- tecnico. Io ero molto stanca, avrei voluto cenare ed andare a letto. Anche lui era molto stanco ma mi disse che doveva andare, era una cosa che non poteva rimandare…Infatti non rimandò! E fu così che alle 19:34 i nostri destini si separarono per sempre… Urla, rumori, boati paurosi furono registrati dai microfoni di un’emittente privata avellinese: “Radio Alfa”, che poi diventò “Radio Terremoto”. I sismografi registrarono una scossa di magnitudo 6,9 della scala Richter che, per la scala dei danni, la Mercalli, sono 10 gradi. Quando tutto finì, in un attimo, ci trovammo tutti in strada. Era andata via anche la corrente. Non capivamo cosa fosse successo e ci chiedevamo dove fossero i nostri cari; qualcuno diceva che probabilmente era scoppiata una bombola di gas. Ma le voci cominciavano a rincorrersi: è crollato tutto, ci sono molti morti, la Chiesa di San Rocco è rasa al suolo! È così che sprofondai nella disperazione più profonda. 42 anni fa, non c’erano i social o i cellulari… Mio fratello Gerardo, allora ventunenne, si trovava proprio lì, in piazza, dove sorgeva il santuario di San Rocco. I ragazzi erano soliti ritrovarsi in paese con gli amici, la domenica sera. Lo scenario fu sconvolgente e confermò quello che io già avevo immaginato. Tuo nonno era rimasto intrappolato nella Chiesa, sotto il cornicione del portone. Mio fratello lo riconobbe dall’orologio. Io e tuo nonno eravamo quasi coetanei ed io ero rimasta, a soli 30 anni, sola, inesperta e desolata con 3 figli piccoli: tuo padre di 2 anni, tuo zio Giovanni di 5 anni e tuo zio Angelo di appena 9 mesi. Piano piano che il polverone cominciò a calare e le famiglie si riunirono, noi ci abbracciammo e ci organizzammo per la prima notte in macchina. Alcune persone si rifugiarono in pagliai o in pannizze di legno. Lascio immaginare l’incubo di quella prima notte con la paura di altre scosse… Il giorno dopo si camminava in un paese sconvolto, nel caos totale e si incrociavano sguardi assenti e terrorizzati. Si scavava con le mani ormai da 24 ore, si cercava di sentire le voci delle persone intrappolate nelle macerie e si temevano centinaia di morti. Le persone chiedevano una mano, cercavano attrezzi per scavare; erano distrutte dopo ore e ore alla ricerca affannosa di salvare vite umane. Lioni, Conza della Campania, Laviano, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto, Castelnuovo di Conza, Santomenna e Muro Lucano furono rasi al suolo.  Un’altra notte stava per incombere e la mattina del 25, il Presidente, Sandro Pertini, visitò l’Irpinia e con queste parole sollecitò l’Italia intera: “ Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione di sopravvissuti vivrà nel mio animo. Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levano gemiti, grida di disperazione dei sepolti vivi…”. Queste parole misero in moto un fiume di solidarietà: arrivarono volontari e aiuti da tutt’Italia: viveri, coperte, vestiti. Vennero allestite tende e distribuiti medicinali ed incominciarono ad arrivare aiuti militari con ruspe e scavatrici. Ma ecco che quando lo scenario sembrava prendere un po’ di colore, arrivò il freddo e la neve. L’Irpinia contava complessivamente 3000 morti e quasi 9000 feriti.” Questa è la straziante testimonianza di mia nonna da cui capiamo bene che non possiamo dimenticare una catastrofe di tale portata. Nessuno potrà cancellare quel ricordo, soprattutto chi ha subìto perdite di familiari o amici. Oggi, ovviamente, il territorio ci appare trasformato, perché ricostruito. Ma anche le persone sono cambiate, ribadisce mia nonna, i Lionesi amavano ritrovarsi nelle piazze proprio come gli Atenesi si riunivano nelle agorà! Oggi non più. La vita sociale è diminuita rispetto a prima. Le persone sono diventate più taciturne, preoccupate, ansiose… perché la gente ha dovuto cercare la forza di rimettersi in piedi e di ricominciare ma non ha mai cancellato dalla propria mente quel giorno. Oggi si tende a rimpiangere ed idealizzare il tempo antecedente a quell’orribile 23 novembre 1980 perché per molti, ripartire da zero, è stato un duro colpo. Non è facile ricostruire e riempire una casa di ricordi! Perché è questo, secondo me, il vero problema… Riempire una casa di ricordi! È vero che questa catastrofe naturale ha portato via tutti i sacrifici delle persone: le case, le macchine… Tutto ciò è stato ricomprato, ma le persone che ci hanno lasciato non sono più tornate. Per questo ho deciso di scrivere questo testo, per rivivere la memoria e ribadirne l’importanza, in onore delle persone scomparse, come te nonno, che sei scomparso prematuramente, a soli 29 anni e per dirti che sei sempre vivo nei nostri pensieri.

 

Lavoro di: A.F., classe 3 sez. A, plesso di Lioni

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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