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DIALOGO FRA GIOVANNI PALATUCCI E GIOELE

DIALOGO FRA GIOVANNI PALATUCCI E GIOELE

E’ il 22 ottobre 1944 e sono arrivato a Dachau, dove mi hanno tatuato sul braccio la matricola 117826, mi hanno fatto indossare una casacca avente un piccolo triangolo rosso con al centro la lettera I e ora un tedesco mi sta portando nella baracca  numero 25. Qui incontro un bambino ebreo di circa 10 anni, indossa una casacca a righe blu, ha i capelli rasati, un corpo magrissimo, una faccia sporca e ha un aspetto stanco e triste. Lui inizia ad avvicinarsi a me e qui inizia il nostro dialogo….

BAMBINO: “Come ti chiami e qual è la tua famiglia?”

IO: “Mi chiamo Giovanni Palatucci, sono nato il 29 maggio 1909 a Montella, mio padre si chiama Felice, mia madre Angelica e le mie sorelle si chiamano Marietta e Carmela. La mia famiglia è molto religiosa: i miei zii paterni, Antonio e Alfonso, sono francescani e Giuseppe Maria, è vescovo di Campagna”.

IO: “ Tu invece come ti chiami e dove si trova la tua famiglia?”

BAMBINO: “ Mi chiamo Gioele, la mia famiglia è ebrea: i miei genitori penso siano morti perché non li vedo da molto tempo e mio fratello di 6 anni, Ethan, si trova dall’altra parte del  campo”

GIOELE:  “Sei andato a scuola?”

IO: “Sì: svolsi i miei primi studi a Montella e li continuai a Dentecane, successivamente mi iscrissi al Liceo classico di Benevento. Proseguii il mio percorso di studi nel collegio privato di Ravello, che dirigeva mio zio, il vescovo, e conseguii la maturità al Liceo Torquato Tasso di Salerno, uno dei migliori della mia zona,  il 23 novembre 1928. Frequentai il corso di laurea in Giurisprudenza all’Università di Napoli per poi trasferirmi a quella di Torino per svolgere il servizio militare e il 16 dicembre 1932 mi laureai con la tesi “ Il rapporto di casualità nel diritto penale”. Superai anche gli esami per Procuratore legale, ma l’avvocatura non mi piaceva e così durante i primi mesi del 1936 feci la domanda per entrare in polizia. Iniziai il servizio il 3 agosto alla Questura di Genova come vicecommissario alla prova e dopo che svolsi alcuni corsi di formazione mi confermarono. Qui però, a Genova, rilasciai un’ intervista che il 26 luglio 1937 finì sul giornale cittadino, criticai la polizia accusandola di essere distante dai problemi dei cittadini e, dopo che scoprirono la mia identità, mi trasferirono alla Questura di Fiume.

GIOELE: “Perché ti trovi qui allora?”

IO: “Nel 1938, come sai, la situazione si è complicata dopo che fu emanato il manifesto della razza e le leggi razziali e così decisi di aiutare gli ebrei italiani e stranieri che, abbandonando i territori  occupati dai tedeschi, chiedevano di entrare in Italia tramite il valico di Fiume. Ciò continuò fino all’8 settembre 1943: siccome non potetti più rilasciare dati veri, iniziai a fornire passaporti falsi e visti di transito e, visto che era impossibile impedire la deportazione nei centri di internamento italiani degli ebrei cercai di creare, attraverso una rete di amici, una strada per salvare gli ebrei dai campi di sterminio, il canale fiumano, perchè i tedeschi appostarono guardie in tutto il Paese. Allora mi misi in contatto con il C.L.N. e con gli Alleati e per non essere scoperto mi feci chiamare Dottor Danieli. Quindi cominciai a far trasferire gli ebrei verso il campo di internamento di Campagna dove si trovava lo zio vescovo; almeno potevo essere sicuro che lì avrebbero ricevuto cure e condizioni di vita migliori. Però le autorità militari tedesche iniziarono a sospettare di me e perciò iniziai a strappare gli elenchi degli ebrei  di cui mi occupavo in modo tale che non li avrebbero potuti individuare. Ma sfortunatamente durante la notte del 13 settembre, mentre ascoltavo l’incantevole silenzio notturno, all’improvviso sentii un grande botto, mi voltai e dei tedeschi entrarono nel mio appartamento e cominciarono a perquisirlo finchè non trovarono una copia del piano riguardante lo Stato Libero e autonomo di Fiume, fui  accusato di intelligenza  con il nemico e dunque arrestato. Beh…ed eccomi qui.

GIOELE: “ E’ bello ciò che hai fatto per altra gente, perché lo hai fatto e ora come ti senti? Te ne sei pentito?

IO: “ L’ho fatto perché di fronte ad una situazione così assurda e ingiusta non potevo starmene con le mani in mano, sapevo che ciò sarebbe potuto accadere ma  non mi pento di nulla. Ho un po’ di paura, ma sono felice perché almeno ho tentato di salvare la vita di altre persone ingiustamente perseguitate portando un po’ di speranza. Mi sento anche un po’ in colpa per le persone che, invece, non sono riuscito a salvare, ma almeno ci ho provato. Ammetto che mi manca la mia famiglia e la mia fidanzata, ma mi rallegra il fatto che degli ebrei un giorno potranno realizzare i loro sogni e sarà solo allora che potrò sentirmi un minimo utile.

GIOELE: “ Cosa pensi della diversità? E perché ci hai accettato?

IO: Penso che non esista la diversità dal punto di vista religioso o dei tratti del viso, su questi aspetti siamo tutti uguali  e trovo orrendo il modo in cui vi stanno trattando, voi ebrei non meritate tutta questa crudeltà, siete uguali a noi: abbiamo solo religioni, tradizioni e culture diverse, ma questo ci aiuta a conoscere meglio il vostro popolo e poter instaurare un dialogo. Esiste però la diversità dal punto di vista caratteriale ed è quella che distingue ciascuno di noi, sarebbe noioso un mondo fatto di umani con la stessa personalità. La mia famiglia mi ha sempre insegnato fino a quando ero piccolo ad amare il prossimo e a cercare sempre di andargli incontro per aiutarlo o consigliarlo. Vi ho accettato perché siamo tutti fratelli, non vi vedo diversi da me per il semplice fatto che non esiste una razza. Spero che un giorno tutti vi accetteranno come vostri fratelli, che un domani vi possiate stringere la mano in segno di pace e mi auguro che non si ripetano più tali cattiverie.

GIOELE: “ Grazie Giovanni, sei davvero un uomo speciale, mi ha fatto davvero piacere parlare con te e ascoltare la tua vita…Ti vorrò sempre bene e non dimenticherò mai né te né quello che hai fatto”

IO: “ Anche io Gioele”

Giovanni Palatucci morì il 10 febbraio 1945 a causa di un’epidemia di tifo petecchiale che colpì il campo e fu sepolto sulla collina di Leitenberg , vicina al campo, in una fossa comune. Il 12 settembre 1990 lo Yad Vashem lo riconobbe Giusto tra le nazioni e nel 1953 lo Stato di Israele gli dedicò un viale a Ramat Gan. Il 17 aprile 1955, l’ Unione delle Comunità Istraelitiche italiane gli concesse la Medaglia d’Oro con la seguente motivazione: «Commissario all’Ufficio stranieri della Questura di Fiume, tanto operò in favore degli ebrei e di altri perseguitati, che venne arrestato dai nazisti nel settembre 1944 e deportato in Germania. Le sevizie e le privazioni del campo di sterminio, a Dachau, ne troncarono, alla vigilia della liberazione, la mirabile esistenza. Se al suo nome nello Stato d’Israele sono state dedicate una via e una foresta, gli ebrei d’Italia vogliono anch’essi onorarne il ricordo». Mentre il 15 maggio 1995 la Repubblica italiana gli conferì  la Medaglia d’oro al merito civile con questa motivazione: «Funzionario di Polizia, reggente la Questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l’arresto e la deportazione. Fedele all’impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l’occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all’arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio, dove sacrificava la giovane vita». Infine dal 2004 il Vaticano lo proclamò “ Servo di Dio” e successivamente gli sono state dedicate piazze e parchi in tutto il mondo.

E’ davvero importante ciò che ha fatto Palatucci in un contesto come quello della Seconda Guerra Mondiale: tentare di salvare la vita di persone ingiustamente massacrate sapendo di mettere a rischio la sua vita. Ha cercato di fare il massimo per far sì che questo avvenisse e per questo ha dimostrato coraggio, gentilezza, tolleranza e altruismo, qualità che spesso vengono a mancare ai tempi di oggi. Servirebbe a questo mondo e a questa generazione egoista un esempio di Palatucci per cercare di impedire che quello che è successo durante la Guerra non accada più, per insegnare a non farsi sottomettere da ideali sbagliati, ma soprattutto per far capire che non esiste diversità dal punto di vista della razza, della religione, del colore della pelle, dei tratti del viso e dell’appartenenza politica. Purtroppo ancora oggi si verificano fatti spiacevoli per queste cause, noi siamo giovani e dobbiamo imparare ad aiutare il prossimo, chiunque esso sia, perché siamo noi il futuro, i cittadini del domani e dobbiamo tramandare questi insegnamenti, e per far sì che ciò avvenga non bisogna dimenticare: non si può rimediare alle azioni ormai passate, ma possiamo cambiare il nostro domani. Giovanni Palatucci e tutti coloro che tentarono di salvare vite non dovranno mai essere dimenticati.

 

Lavoro di: C.F., classe 3 sez. B, vincitrice del terzo premio della borsa di studio dedicata a Giovanni Palatucci

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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