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Giovanni Palatucci, il dovere della Memoria. Riflessioni della professoressa Anna Dello Buono – Assessore alle Politiche culturali del Comune di Montella-

Giovanni Palatucci, il dovere della Memoria. Riflessioni della professoressa Anna Dello Buono – Assessore alle Politiche culturali del Comune di Montella-

Ci avviciniamo anche quest’anno al 27 gennaio “ Giorno della Memoria”, ricorrenza in ricordo delle vittime della Shoah, istituita in Italia nel 2000 con la legge 211 e diventata poi il 1 novembre  2005, per una risoluzione delle Nazioni unite, “Giornata internazionale della Memoria “.

Nonostante il periodo terribile in cui siamo immersi a causa della pandemia, non possiamo far  passare la ricorrenza sotto silenzio.

E’, infatti, proprio quando circostanze del tutto straordinarie tendono a farci ripiegare su noi stessi e a chiuderci in una quotidianità che sembra non offrire vie d’uscita, dobbiamo saper elevare lo sguardo verso coloro che, pur vivendo situazioni difficili e pericolose per la propria sopravvivenza, non se ne sono lasciati sopraffare.

Testimoni di superiori valori di umanità e di altruismo, hanno continuato a guardare oltre il buio e a lavorare per la costruzione di un domani migliore, se non per loro almeno per gli altri.

Come cittadina e come amministratore comunale ho la fortuna di poter guardare a numerosi esempi di valore civico ed etico, a eroiche storie di altruismo e di  attaccamento al dovere. Montella, infatti, vanta ben 30 cittadini che si sono distinti per atti  di coraggio nei conflitti che hanno visto l’Italia impegnata dal 1890 al 1945 e che sono stati decorati con 4 medaglie d’oro, 5 medaglie d’argento, 17 di bronzo e 4 croci di guerra al Valor  militare. Onorarne la Memoria diventa non solo un dovere ma un obbligo.

Ma venendo a Giovanni Palatucci, Medaglia d’oro al Merito civile, assegnata dal Presidente della Repubblica nel 1995 (era già stato  insignito  nel 1955 dalla  Comunità Israeliti  d’Italia di   Medaglia d’oro alla Memoria ), ritenni doveroso come componente dell’Amministrazione comunale di Montella  e delegata alla Cultura e alla Scuola , nel novembre  2001 ,  onorare la figura con una iniziativa culturale non episodica e di risonanza nazionale, da celebrarsi ogni 27 gennaio nel “Giorno della Memoria “.

Nessuno meglio di Giovanni Palatucci, morto il 10 febbraio 1945 nel campo di concentramento di Dachau a soli 36 anni  poteva rappresentare meglio l’essenza e il valore della ricorrenza.

Fu istituito il “Premio Giovanni Palatucci”, da assegnare a personalità e a istituzioni resesi protagoniste di azioni umanitarie o atti di eroismo, affinché.

le figure di coloro che, come Giovanni Palatucci, in epoche storiche d’intolleranza e di negazione dei più elementari diritti civili, a rischio della propria vita, hanno salvato quella degli altri non siano dimenticati”e “i valori della pacifica convivenza tra i popoli, della solidarietà umana e della tolleranza, di là da ogni distinzione di razza e di religione, siano sempre vivi nei giovani e nei popoli.”

Fu anche l’occasione per presentare a Montella, il successivo 27 gennaio  2002, ospiti il regista Fabrizio Costa e l’attore protagonista Sebastiano Somma, il film da poco realizzato su Giovanni  Palatucci «Senza confini».

 

Ma chi è Giovanni Palatucci ?

Nato a Montella il 31 maggio 1909, aveva conseguito   il diploma di maturità classica al liceo   “Tasso “ di Salerno. Laureatosi in Giurisprudenza, anziché dedicarsi all’attività forense, preferì entrare, come funzionario, nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza.  Lavorò per breve tempo alla Questura di Genova, poi, dal 1937, a quella di Fiume, del cui Ufficio Stranieri diviene responsabile.

La sua, prima di diventare epica, è la storia di tanti giovani del sud, dotati d’ingegno e di solida preparazione, che – allora come ora- si spostano al Nord per lavoro e che fin da subito riescono ad affermarsi nei nuovi contesti professionali e sociali.

Sarebbe difficile capire la portata delle azioni umanitarie che ne hanno fatto un “giusto” se non si approfondisse il contesto politico e sociale  in cui Palatucci si trovò ad agire durante gli anni della sua permanenza a Fiume.

La città era un luogo di confine, da sempre terra di contrasti etnici tra italiani e sloveni-croati, ma nello stesso  tempo città di cultura mitteleuropea, aperta alla convivenza, in cui la comunità ebraica residente, a differenza di altri luoghi, si sentiva ben integrata e sicura.

Negli anni che vanno dal 1938 fino al 1943-1944, la regione risentì fortemente delle trasformazioni introdotte dalle leggi razziali nei paesi occupati dai nazisti, leggi che costrinsero i cittadini ebrei perseguitati nei paesi di origine dall’Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Croazia a diventare i profughi, pur di sfuggire all’internamento.

In numero considerevole attraversavano clandestinamente il confine e arrivavano in Friuli -Venezia Giulia. Ma anche qui, nelle aree divenute italiane con l’annessione dopo lo smembramento del regno di Iugoslavia, si applicavano le leggi razziali in vigore in Italia ed esteso il provvedimento d’internamento.

Diciamo subito che le leggi razziali avevano trovato in Giovanni Palatucci, fin dalla loro emanazione, una contrarietà. E se non poteva, come funzionario dello Stato, pubblicamente ostacolarle, trovò come renderle meno dannose con un’opera di aiuto agli ebrei, che cominciò fin da subito.

Una prova esplicita del suo pensiero la troviamo nell’aprile  1944, in una denuncia inviata al Capo della Polizia, e per conoscenza al Ministero dell’Interno, dei rastrellamenti e degli arresti che avvenivano a Fiume.

Il compito di Palatucci era, quindi, di compilare schedari degli ebrei e dei perseguitati di varia natura, anche di dissidenti politici .

Stando alla ricostruzione degli studiosi a cui ci dobbiamo necessariamente attenere non essendo storici ,  egli interpretò il suo ruolo  in maniera  più favorevole per gli ebrei e i perseguitati ,   mettendo in essere un’opera di salvataggio accorta ed  efficace ma diversificata: omissioni nell’applicazione di norme come  registri non in regola ( per i quali subì una nota di biasimo), ritardi nel rispondere alle informative di altre questure che chiedevano di  rintracciare  intere famiglie ebraiche  ricercate o anche  trasmissione di dati informativi richiesti a ebrei in fuga, coperture di varia natura, inclusa la consegna di documenti non autentici (permessi di transito e passaporti)

In breve coloro che, in fuga dalle nazioni occupate dai Tedeschi, transitarono per il confine istriano, trovarono nella “via fiumana “ un canale di salvezza.

Il primo importante salvataggio di cui si ha notizia è quello che consentì, già nel 1939, a un gruppo di ebrei che rischiavano di essere esclusi dalla lista passeggeri della nave Aghia Zoni (che trasportava ebrei in Palestina) di imbarcarsi – su quella stessa nave- ad Abbazia, anziché da Fiume.

Negli anni successivi continuò ad adoperarsi per mettere in essere altre strategie di aiuto che, se pur formalmente rispettose delle norme, dovevano salvare la vita ai perseguitati.  Con l’aiuto di alcuni fidati collaboratori che lavoravano con lui all’Ufficio stranieri della Questura (alcuni di loro hanno contribuito a far conoscere l’operato del vice-questore con le loro testimonianze) fece in modo che diverse persone di religione ebraica potessero riparare nei campi d’internamento civili predisposti dal regime fascista in Italia, per lo più al Sud.

Altri invece furono trasferiti in piccoli paesi isolati del Centro e del Italia settentrionale, in condizione di ‘internato libero, cioè in  domicilio coatto.

Palatucci considerava la soluzione dei campi d’internamento civile o del domicilio coatto come la condizione più sicura per i profughi, in  alternativa ai campi di concentramento

E tale, infatti, si dimostrò avendo permesso a molti di sopravvivere alla Shoah.

Un campo d’internamento civile a noi territorialmente vicino fu quello di Campagna, in provincia di Salerno. Qui furono inviati da Giovanni Palatucci molti internati, che trovarono un sostegno e un aiuto concreto da parte di Mons. Giuseppe Maria Palatucci vescovo della città e suo zio .

Con l’entrata in vigore delle leggi razziali anche in Italia, man mano che il conflitto s’inaspriva, i compiti dell’Ufficio Stranieri diventavano sempre piu’ complessi e l’azione di salvataggio sempre piu’ pericolosa, fino a precipitare drasticamente quando Fiume fu occupata dai Tedeschi che agivano in combutta con i Fascisti della Repubblica di Salò.

Le azioni della Polizia italiana e quindi della stessa Questura di Fiume, di cui Palatucci era divenuto, nel 1943 Commissario aggiunto e Reggente nel 1944, cominciarono a essere sistematicamente controllate. E, sebbene le iniziative di salvataggio fossero svolte con cautela, finirono per attirare l’attenzione, certamente non benevola, sia dei nazisti sia dei repubblichini.

Il 13 settembre del 1944, dopo una perquisizione della sua abitazione, Giovanni Palatucci fu arrestato dai Tedeschi.

Prima portato in carcere a Trieste, poi trasferito alla Risiera di San Saba (Trieste) e quindi nel campo di sterminio di Dachau (matricola tatuata sul braccio n.117826) dove morì il 10 febbraio 1945.

Il decesso fu causato dalla diffusione del tifo petecchiale ma qualche storico non esclude un’iniezione letale, perché l’epidemia colpì più baracche ma non quella di Giovanni Palatucci.

Il corpo del Reggente della Questura di Fiume fu gettato in una fossa comune sulla collina di Leitenberg. Appena 78 giorni dopo, il lager fu liberato dagli Alleati.

La notizia ufficiale della morte raggiunse i suoi anziani genitori a Montella solo tre anni dopo, il 9 aprile del 1948.

Le ragioni dell’arresto e della condanna non furono ufficialmente determinate dall’azione a favore degli Ebrei, probabilmente perché l’opera svolta in maniera accorta e intelligente non aveva lasciato tracce scritte, ma dall’accusa dell’esistenza di un piano concernente la sistemazione della città di Fiume come città indipendente, piano  di cui Giovanni non solo sarebbe stato a conoscenza, ma che avrebbe affidato a un’amica ebrea, Mikela Eisler “Mika”,  perche’ lo consegnasse agli Inglesi. Del documento incriminato non fu rinvenuta traccia nell’abitazione del Palatucci durante la perquisizione.

Una successiva testimonianza resa dal medico personale dell’ex reggente di Fiume afferma che “ Mika consegnò alle autorità elvetiche un progetto di autonomia riguardante Fiume, come da indicazione ricevuta da Palatucci.

Giovanni, in realtà, aveva avuto l’invito di ripare in Svizzera, ospite del Conte Marcel Frossard De Saugy, ma aveva ceduto il suo posto a “Mika” e a sua madre che avevano così potuto raggiungere il territorio elvetico e salvarsi.

Alcuni elementi biografici renderebbero ancora piu’ straordinaria l’azione del Nostro.

«…” un certo momento il C.L.N. fiumano, nel quale Palatucci era entrato con il nome di dott. Danieli, fu informato che i nazifascisti avevano cominciato a sospettare della sua attività; a Palatucci fu consigliato di mettersi in salvo, ma lui rifiutò: una sua fuga, disse, avrebbe messo in difficoltà i sottoposti che lo avevano aiutato. Arrestato nella sua casa, il 13 settembre del 1944, dalla polizia di sicurezza germanica, il Questore di Fiume – che non aveva fatto nomi nonostante le torture – fu condannato a morte per “cospirazione e intelligenza con il nemico”»(ANPI, Donne e uomini della Resistenza 2010 – Giovanni Palatucci  )

E Palatucci non fuggì da Fiume, non lasciò il suo posto anzi continuò la sua opera.

Come uomo della Resistenza? Le accuse mossegli dai Tedeschi di connivenza con gli Alleati dicono così ma, a prescindere dall’esistenza o meno dal piano per l’autonomia di Fiume, è anche vero che non possono essere solo i fatti d’arme a dover essere considerati resistenza: anche la manomissione di archivi per tutelare le identità e sottrarre esseri umani alla persecuzione è un atto di resistenza, di alto eroismo civile.

 

Giovanni Palatucci fu un “Giusto”? Come ho già ricordato la Comunità degli Israeliti d’Italia lo ha insignito nel 1955 di Medaglia d’oro alla Memoria, il Memoriale dell’Olocausto Yad Vashem ha confermato, nel febbraio del 2015, il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, che gli era stata attribuita nel dopoguerra.

Il Centro “Primo Levi” di New York, nel 2013, ha sollevato dubbi sull’attività e sul numero degli Ebrei salvati da Giovanni Palatucci, con una ricostruzione revisionista che ne farebbe addirittura un collaboratore dei nazisti nella persecuzione degli Ebrei.

 

Accingendomi a redigere, su gentile invito della cara prof.ssa Silvia De Simone, che sentitamente ringrazio, queste brevissime note, non essendo un’esperta in materia, ho cercato di documentarmi sull’attendibilità della ricostruzione del Centro “Primo Levi” e sulle riserve sollevate .

In particolare ha attratto la mia attenzione la ricerca di un team di storici della Università Lateranense di Roma che  ha approfondito, con uno studio ben documentato durato  dal 2010 al 2015 ,  la figura e l’operato dell’ex reggente della Questura di Fiume.

La ricerca, che ha accolto contributi di storici anche di Paesi diversi, ha permesso di dissipare alcune ombre gettate sulla figura del Palatucci dal Centro “Primo Levi” di New York.

Nella stessa direzione va la ricostruzione della storica Anna Foa che sostanzialmente riabilita l’operato del Nostro, sostenendo che  il Centro Primo Levi tace sulle numerose testimonianze di salvataggi rilasciate dagli stessi ebrei salvati

L’addebito, poi, mosso dal Centro secondo cui non ci sarebbe una documentazione scritta sul numero degli Ebrei salvati è spiegabile con il fatto che le operazioni di salvataggio messe in atto dovevano essere necessariamente segrete.

Conosco, come docente e come cittadina, quanto sia difficile oggi spiegare alle giovani generazioni concetti come l’amor di patria, il senso del  dovere onorato fino al sacrificio della propria vita, in un periodo storico in cui – per fortuna – la guerra non trova alcuna giustificazione etica o politica.

Quindi serve ripercorrere le pagine della nostra “bella storia”, ricordare le gesta di uomini come Giovanni Palatucci ?

Ritengo di sì. Serve soprattutto oggi perché si riaffacciano nella nostra società discriminazioni e disuguaglianze, spettri del passato che pensavamo sepolti per sempre, come il riproporsi della condizione dei profughi che premono ai confini europei per sfuggire a morte e persecuzioni.

Serve, se il ricordo di queste figure straordinarie non rimane uno sterile esercizio di retorica, ma è vissuto costantemente come esempio di virtù civili ed etiche, trasmesso alle giovani generazioni come insegnamento cui ispirarsi e non solo nel “Giorno della Memoria “.

 

Montella 15/01/2021                                                                                                   Anna Dello Buono

                                                                                      Assessore alle Politiche culturali del Comune di Montella

 

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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