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“Giovanni Palatucci, lo Schindler italiano” di Giuni Tuosto

“Giovanni Palatucci, lo Schindler italiano” di Giuni Tuosto

 

Giovanni Palatucci è nato in Irpinia il 31 maggio 1909.

Un nome il suo che risuona spesso tra me e me, nei miei pensieri sopiti, nei miei ricordi di bimba nata e cresciuta in Irpinia, nei miei viaggi di ragazza: a Palatucci è dedicata la piazzetta di Montella dove l’autobus faceva sosta per portarmi a Roma negli anni universitari ed è sua la rotonda all’ingresso di Lioni, proprio sotto casa mia.

E poi Montella, cui sono legatissima. Il paese dove ho custodito ricordi e amicizie importanti, dove ho cantato sotto un palco turbolento le canzoni di Caparezza a squarciagola, dove c’è un liceo scientifico in cui mi sono rifiutata di andare a 14 anni, dove c’è quella villa comunale, verde e spaziosa, che si prestava ad un’adolescenza florida e divertente. Il paese della sagra della castagna e della festa dei giovani.

Montella, nelle mie percezioni adolescenziali, era anche il paese natio di quell’eroe nostrano, dal nome familiare: un orgoglio tutto irpino, prima ancora d’essere orgoglio nazionale. L’esempio di chi ha messo a repentaglio la propria vita per aiutare, proteggere e salvare.

Poliziotto controcorrente, iscritto al partito fascista, militare piemontese, laureato in giurisprudenza e questore della città di Fiume.

Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, in quanto addetto all’ufficio stranieri, convogliò il trasferimento di 5000 ebrei verso luoghi sicuri e sotto false identità.

Non morì per aver salvato gli ebrei, ma per aver tentato l’indipendenza di Fiume che, pur appartenendo alla Repubblica Sociale Italiana, era di fatto sotto lo stretto controllo delle truppe tedesche e delle SS, tra ispezioni serrate e rischi mortali.

I tedeschi lo arrestarono il 13 settembre 1944 e lo condannarono ai lavori forzati nel campo di concentramento di Dachau, vicino Monaco di Baviera, dove morì per inedia pochi mesi dopo, a soli 36 anni, il 10 febbraio 1945.

Giovanni Palatucci è oggi una medaglia d’oro al merito civile per i suoi salvataggi di massa in favore della popolazione ebraica.

Papa Giovanni Paolo II ne ha fatto un martire italiano durante il Giubileo 2000.

Io non so se Giovanni Palatucci sia stato un uomo irreprensibile come Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco che, pur appartenendo al partito nazista, aveva un cuore d’oro che gli permise di salvare circa 1300 ebrei. Su Palatucci ci sono controversie storiche: alcuni hanno messo in discussione il suo operato, insinuando che forse non furono 5000 gli ebrei da lui liberati a Fiume o che fosse addirittura un collaborazionista nazista. 

Chi può dirlo con certezza?

Qualunque sia la verità, è doveroso ricordarlo in occasione del Giorno della Memoria: nessuno di noi può giudicare con severità l’operato di chi ha vissuto un’epoca a cavallo tra due guerre mondiali, in cui sentimenti e umanità erano soffocati dalle leggi razziali e l’altruismo doveva essere nascosto per la propria sopravvivenza. 

La verità giace sul fondo magico di quella terra irpina che è scaltra e selvaggia, eternamente sospesa tra scienza e leggenda, tra boschi umidi e lupi di montagna, tra streghe e janare, tra eroi nazionali e madri disperate, dove solo il pizzico della taranta, col suo potere catartico, ti libera il cuore dalle tenebre più oscure.

Viviana Miele
Viviana Miele
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