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Il sisma e l’Irpinia

Il sisma e l’Irpinia

IRPINIA

Il 23 novembre 1980 era una domenica di sole. «Non sembrava novembre», recita il ritornello della memoria. D’improvviso un violento sisma sconvolse le viscere dell’Appennino meridionale, attraversò il confine tra Campania, Puglia e Basilicata. Si scatenò a 30 km di profondità, tra la Sella di Conza della Campania (in provincia di Avellino), Castelnuovo di Conza e Laviano (in provincia di Salerno), cavalcando una faglia lunga circa 60 km e larga 15: la stessa che in passato aveva generato terremoti simili. La frattura raggiunse la superficie terrestre generando una scarpata di faglia ben visibile per circa 35 km. La scossa principale venne valutata 6,9 gradi di magnitudo della scala Richter, la sua intensità varia tra i 10 gradi (completamente distruttiva) e i 7 gradi (molto forte) della scala Mercalli nei comuni compresi nel cosiddetto cratere, cioè la zona maggiormente colpita e per nulla nuova a eventi sismici di significativa potenza (tab. 1). Nel complesso, l’area interessata si estende secondo alcuni per circa 15.000 kmq, 17.000 secondo altri. Si tratta comunque di un’area vasta, difficile da determinare con esattezza, che il sisma percorse repentinamente nell’arco di 90 secondi: la scossa venne registrata all’epicentro alle 19,35; a Conza della Campania qualcuno ricorda che erano circa le 19,34; per l’allora sindaco di Balvano erano le 19,36; a Muro Lucano arrivò intorno 19,30.

I paesi colpiti

 Quarantuno anni fa, nel pomeriggio inoltrato di una domenica, una scossa di magnitudo 6.9 schiaffeggiò l’Irpinia, provocando 2.914 morti e 8.848 feriti, oltre a circa 280.000 sfollati. L’epicentro fu identificato tra i Comuni di Teora, Castelnuovo e Conza della Campania. Il terremoto colpì le province di Avellino e Salerno, oltre a quella di Potenza in Basilicata. I paesi più feriti, oltre a quelli dell’epicentro, furono Laviano, Lioni e Sant’Angelo dei Lombardi. Ma crolli si verificarono anche a Napoli. In totale, furono 679 i Comuni colpiti in otto province: tutte quelle della Campania e della Basilicata e la provincia di Foggia in Puglia.​

 

Il ritardo nei soccorsi

La scossa segnalò nei fatti che l’Irpinia era una terra dimenticata dal resto del mondo, dove i sistemi di sensibilizzazione nazionale, in ordine a una calamità naturale, non funzionavano», ha scritto Paolo Mieli, che alla lettura politica della gestione di quelle emergenza ha dedicato un libro, «Terremoto e trent’anni di cricche». Il sisma, nelle prime ore che seguirono alla devastazione, sarebbe stato enormemente sottovalutato, sostiene lo storico e giornalista, e due giorni dopo . «l’Irpinia si era già trasformata in un’autentica bolgia dantesca». «Le comunicazioni erano del tutto interrotte: le strade erano occupate da veicoli fermi che ostruivano il passaggio, da manifestanti, da gente che scappava, da persone disperate che cercavano notizie dei propri familiari». «Le strade», racconta ancora Mieli, «per giorni e giorni rimasero completamente ostruite ovvero, in alcuni casi, lasciate aperte esclusivamente per operazioni di soccorso che giunsero, poi, in tempi e modi inadeguati. Ci si trovò, in altre parole, dinanzi a un disastro cui non s’era assistito neanche nel Belice. L’Irpinia divenne come un gigantesco cratere».​

 

 

La difficile ricostruzione

L’evento sismico cambiò il corso della storia delle comunità irpine. I costi ufficiali della lunga opera di ricostruzione delle case e per l’insediamento delle aree industriali, nove in totale, ammontano a 150 mila miliardi delle vecchie lire, 75 miliardi di euro, destinati oltre che alla provincia di Avellino a quelle di Benevento, Salerno, Caserta, Matera, Potenza, Foggia e alla città di Napoli, per la quale venne inserito nella legge 219 un apposito capitolo. Per 41 anni quel terremoto ha costituito un riferimento costantemente conflittuale se non permanente nel discorso pubblico e in quello socio-economico nella provincia più colpita, quella di Avellino, confermando in qualche misura la incompiutezza dei processi messi in moto all’indomani del sisma. «All’epoca il presidente Pertini disse Il miglior modo di ricordare i morti è pensare ai vivi. Purtroppo così non è stato, intere famiglie hanno vissuto un incubo durato decenni, con una ricostruzione carica di insuccessi. Oggi con commozione vanno ricordate le vittime, il dolore di chi ha pero i propri affetti e chiunque abbia sofferto le conseguenze di quel devastante sisma», ha scritto oggi in un post su Facebook il vice presidente della Camera e presidente di Italia Viva Ettore Rosato.

 

Lavoro svolto da: M.V., A.N., C.C. e Z. H., classe 3° sez. C

Silvia De Simone
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