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In memoria del sisma del 1980

In memoria del sisma del 1980

Quarantadue anni fa ebbe luogo il terremoto dell’Irpinia, uno degli eventi sismici più gravi della storia italiana. La terrà iniziò a tremare alle 19.34 del 23 novembre 1980, quando una scossa di magnitudo 6.9 colpì un’area compresa tra Basilicata e Campania. Il sisma durò “solamente” 90 secondi ma, per chi visse quella tragedia, sicuramente sembrarono attimi interminabili.

Il bilancio del sisma fu gravissimo: 3000 vittime, 9000 feriti e circa 280 mila sfollati. Nonostante l’epicentro fosse situato tra Basilicata e Campania, la scossa venne avvertita in mezza Italia, dalla Sicilia orientale alla Pianura Padana.

Le caratteristiche del terremoto dell’Irpinia

Il terremoto dell’Irpinia fece registrare una magnitudo di 6.9 e un valore sulla scala Mercalli pari al nono grado. In realtà, l’evento non fu caratterizzato da un’unica scossa: si ritiene infatti che entro quaranta secondi dalla prima se ne verificarono altre due, anch’esse con magnitudo attorno al 6.4 – 6.6. Come spiegato dall’INGV, è come se in meno di un minuto tre terremoti, tutti più forti di quello dell’Aquila, avessero colpito l’area. Per quanto riguarda la sua localizzazione, invece, diversi studi hanno localizzato l’ipocentro ad una profondità di circa 10 km mentre l’epicentro in una zona tra le province di Salerno e Potenza. In particolare, tra i comuni più colpiti ricordiamo quelli di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi e Santomenna. Come riportato sul Catalogo dei Forti Terremoti d’Italia (CFTI), in Campania e Basilicata all’epoca si trovavano 1.843.304 abitazioni censite. Di queste 77.342 risultarono distrutte, 275.263 gravemente danneggiate, 479.973 lievemente lesionate.

 

Le cause del terremoto dell’Irpinia

Come ogni terremoto, anche questo è conseguenza dell’attivazione di una faglia. L’aspetto interessante del terremoto del 1980 è che, inizialmente, si pensò che l’evento fosse stato innescato dall’attivazione di una faglia di un contesto compressivo, cioè legata allo scontro tra due placche tettoniche. Questa supposizione fu più che ragionevole, dal momento che il terremoto si verificò sull’Appennino; e dove c’è una catena montuosa allora ci sono anche due placche che si scontrano. Nonostante l’apparente ovvietà di questa supposizione, presto i dati raccolti smentirono quest’ipotesi e si capì come il terremoto fosse in realtà di origine estensionale. Ma come è possibile? Si scoprì che l’Appennino è sì frutto dello scontro tra due placche tettoniche, ma solo alla macro-scala: localmente può presentare porzioni dal comportamento estensionale, e sono proprio queste le principali responsabili dei grandi terremoti del centro Italia, come quello dell’Irpinia del 1980, dell’Aquila nel 2009 o di Amatrice nel 2016.Sul sito dell’INGV è possibile consultare il database DISS, cioè una banca dati che raccoglie le principali faglie italiane (o, per meglio dire, le principali “sorgenti sismogenetiche”).

Il dopo-sisma e la ricostruzione

In un primo momento i soccorsi furono affidati prevalentemente ad autorità locali e volontari. Consideriamo che all’epoca la Protezione Civile non era un’istituzione strutturata e stabile come lo è oggi e, per questo motivo, l’intervento diretto dello Stato richiese più tempo per essere messo in atto. Ciononostante, il giorno successivo al terremoto arrivarono sul posto 22 mila militari, saliti a 27 nelle successive ventiquattr’ore. Per aiutare la popolazione vennero inizialmente predisposte 10 mila tende e 1231 vagoni ferroviari per ospitare i senzatetto, mentre circa 16,5 mila persone rientrarono nelle loro case non appena le perizie ne garantirono l’integrità strutturale. Nel corso dei giorni, visto l’avvicinarsi di un freddo inverno, i senzatetto vennero spostati in strutture più consone come roulottes, scuole o altri edifici pubblici. Nel corso dei mesi e degli anni successivi vennero stanziati fondi per la ricostruzione ma, sempre secondo il portale CFTI, a vent’anni dal sisma la ricostruzione non risultò ancora completamente terminata e alcune migliaia di persone continuarono a vivere negli alloggi provvisori.

 

Lavoro svolto da R.D., classe III sez. D

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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