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In ricordo di Don Peppino Diana

In ricordo di Don Peppino Diana

Il 19 marzo la Chiesa Cattolica celebra la festa di San Giuseppe. Il 19 marzo 1994, ventisette anni fa, alle 7,20 del mattino nella sacrestia della Chiesa Parrocchiale di San Nicola di Bari in Casal di Principe (CE), fu barbaramente assassinato un giovane sacerdote, don Peppino Diana, proprio nel giorno del suo onomastico. Mandante della spietata esecuzione fu un boss della camorra locale, la quale era enormemente infastidita dall’impegno e dall’aiuto che questo giovane prete dava incessantemente alle persone vittime dei suoi soprusi, perpetrati a tutti i livelli. Qualche giorno dopo lo stesso Papa Giovanni Paolo II, durante la preghiera domenicale dell’Angelus, farà conoscere al mondo intero il sacrificio di questo ministro di Dio da lui definito “un evangelico chicco di grano caduto nella terra” auspicando che il suo sacrificio produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”.  Ma chi era don Giuseppe Diana?

Ce lo facciamo dire da Lui stesso, attraverso quanto scrisse in preparazione al giorno in cui sarebbe stato consacrato Sacerdote:

Sono nato a Casal di Principe il 4 luglio  1958  da una famiglia di contadini. La mia  storia  comincia  con il ricordo   dell’affetto  forte che mia  madre  ha sempre  avuto per me, una predilezione che mi ha aiutato a crescere e a fare i primi passi della mia vita. Mio padre, essendo io il primogenito, mi ha dato le sue premure con un pizzico particolare  di sincerità. La figura che ricordo con tanto amore  e a cui debbo molto è mia  nonna: donna  semplice, ma austera e decisa  nelle scelte difficili di tutta la famiglia. A tre anni e mezzo venni in contatto  con le Figlie di Sant’Anna, suore che tuttora  operano tanto bene a Casal di Principe.  A cinque anni fui affidato alle cure di Suor Anna Andreina, che mi fu vicina col suo affetto e che pose in me i primi germi della scelta vocazionale.  Fu lei ad istruirmi  e guidarmi  nei primi passi  del cammino  cristiano.  Affermava  sempre  che io ero molto irrequieto,  ma attento  e diligente.  Solo ora capisco cosa  voleva dire “irrequieto”:  ricerca del perché  della mia fede, del mio essere  Cristiano, che già fin d’allora andavo cercando. A dieci anni entrai in seminario.  Ricordo  che ero molto entusiasta e contento.  Ad accogliermi c’era il rettore  don Fernando Angelino, vero padre ed amico  che tutt’ora mi guida,  ritrovandoci  ad essere insieme  assistenti dell’ AGESCI ( Associazione guide e scout cattolici italiani). Il IV ginnasio  fu per me un momento fondamentale di maturazione e di crescita. Il nuovo rettore don Carlo Cinquegrana  e il vicerettore  don Carlo Aversana,  attuale mio parroco,  portarono  in seminario uno  spirito  di rinnovamento:  spazio maggiore  ai ragazzi,  apertura  all’esterno, contatto  con il mondo parrocchiale. In questo periodo mi ponevo in maniera  più personale di fronte ad alcuni perché  e  dubbi  di fede,  stimolato  anche  da una  trasmissione  culturale. L’ambiente  del  seminario  mi dava  la possibilità  di verifiche  maggiori; l’uscita all’esterno mi permetteva nuovi  confronti  e cominciava a delinearsi un mio ideale di sacerdozio,  anche con l’approccio alla pastorale parrocchiale. Fondamentale a quell’età fu l’incontro con l’altro sesso, che stimolava ed orientava positivamente  la mia maturazione affettiva.

 A Pasqua  del I liceo volevo ad ogni costo uscire dal seminario per vivere una mia  esperienza nella comunità parrocchiale.  Fu una Pasqua  dura per me. I miei genitori si opposero  e ci fu a casa una mezza rivoluzione.  Ricordo  che mio padre invece di benedire,  come usano i buoni “pater  familias”, ruppe i piatti. Oggi riconosco la positività di quel momento. Nel liceo la mia scelta si faceva sempre più chiara, aiutato molto da don Carlo e dalla stima particolare che il Vescovo nutriva nei miei riguardi. Espletata la maturità classica ero destinato all’Almo Collegio Capranica, con progetti a me non ignoti: Accademia Ecclesistica per entrare nel servizio diplomatico della Santa Sede! La prima settimana del settembre 1976 la passai a Roma per l’esame psico­ diagnostico che mi permise di  diventare, una volta superato,  borsista dell’Almo  Collegio. Quando però l’ 8 ottobre vi ritornai per iniziare questo nuovo itinerario formativo, ci resistetti poco più di 24 ore!  Fui preso da una specie di paura, poi meglio definita come crisi religiosa. Tornato a casa, mi iscrissi alla Facoltà di Ingegneria cercando di iniziare una vita nuova. Ma l’ansia di Dio mi attanagliava. È stato in quel periodo che la mia vocazione si è precisata e chiarita.  Il giorno dell’Immacolata avvenne il colpo di grazia: certo con l’aiuto della Madonna, dopo un lungo colloquio con il Vescovo, decisi di ritornare in Seminario. A gennaio mi ritrovai a Napoli, al Seminario di Posillipo. L’ambiente del Seminario strutturato in comunità, con una dimensione dì vita che mi ricordava qualcosa del cristianesimo primitive, e l’interesse per gli studi mi spronarono ad un lavoro a ritmo serrato, che mi condusse, a Pentecoste a proferire e vivere la mia personale professione di fede. Fu un momento decisivo della mia vita dal quale partii ricaricato con tutto un mio orientamento vocazionale. Le vacanze mi trovarono impegnato nella testimonianza di fede e amore, soprattutto in agosto a Lourdes come segno di speranza tra gli ammalati del mio paese…Quel poco che ho fatto e tutto quello che nella  Chiesa potrò operare è ancorato nella mia vita di fede su tre pilastri:  la Preghiera, la Parola di Dio e la Croce… Guardando  al mio domani sacerdotale cerco di vivere tutto questo alla luce della Sacra Scrittura: “Annunzierò, Signore,  il tuo nome in mezzo ai miei fratelli  e ti loderò  in mezzo all’assemblea” (Sal 22,23).

Io alla guida di una comunità cristiana?  Cerco già fin da ora di immedesimarmi  e prepararmi  a questo momento.  Il mio vivere oggi questa realtà a livello personale  è lo sforzo di essere sempre più fedele a Cristo.

In questo  cammino  cerco di incarnare  nella  mia vita la figura del Servo del Signore: docile al comando di Dio e pronto a partire per la salvezza di molti. La scelta  cosciente  del celibato diventa non la rinunzia, ma l’assumere la paternità come momento positivo di cammino di un rapporto d’amore con gli altri miei fratelli, come momento di libertà per realizzare più fedelmente la mia vocazione. Scelgo di essere povero per essere ricco interiormente!

Vivo l’obbedienza come saper discernere ed accogliere con amore in ogni circostanza ciò che Dio vuole da me attraverso le persone preposte alla guida della Chiesa, che mi indicano qual è la mia strada, la mia posizione nel momento storico…

 “Conosci te stesso!”.

 È lo sforzo continuo come direzione costante  della mia vita: capire chi sono in base al mio modo di essere uomo con tutta la dimensione di affettività e di rapportarmi al mondo, alle cose e agli altri per riuscire a comporre in me il perfetto uomo e il perfetto cristiano. Chi sono io come uomo? Di fronte a tale domanda non posso non rendere lode a Dio per quello che ha fatto. Noto in me un ottimismo, un attaccamento all’esistenza che si manifesta nella gioia di vivere, di essere presente alla realtà attuale, in un interesse alle persone ed alle cose. La mia spontaneità mi fa apparire a volte agli occhi degli altri come un superficiale, nascondendo quel mondo interiore di riflessione e introspezione che sta alla base del mio carattere. Sono molto attaccato alla mia terra con la sua tradizione. Questo si riflette nel mio carattere immediato, focoso e chiassoso. In certe situazioni questo fatto mi porta ad avere un modo poco raffinato di rapportarmi alle persone e ad essere al centro dell’attenzione; agi occhi di qualcuno posso apparire un manovratore e un accomodatore. Attualmente ringrazio Dio perché nello sforzo di questi anni mi ha fatto capire e scoprire questo sottofondo culturale del mio carattere dandomi anche gli strumenti per orientare questo mio modo di essere in forme più cristiane al servizio della Chiesa.  Cerco di essere il più possibile onesto con me stesso imparando dal Cristo il quale dice: “Impara da me che sono mite ed umile di cuore”

Penso che tutto questo permetterà, soprattutto ai ragazzi del nostro Istituto, di conoscere più in profondità questo testimone straordinario della terra Campana e comprendere la preziosità degli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza per impostare in maniera solida la propria vita futura. 

                                                                                                                                          Don Tarcisio Gambalonga

Silvia De Simone
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