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LA VIDA ES UN CARNAVAL – di Giuni Tuosto

LA VIDA ES UN CARNAVAL – di Giuni Tuosto

“Il carnevale, va, va, va, finisce male, va, va, va…” cantava Caterina Caselli nel 1968 per esprimere il contrasto stridente tra un cuore deluso e un ambiente festoso: un abbandono cocente durante un carnevale. Il ballo in maschera finisce qui.

Sfondo prediletto di canzoni e romanzi, il carnevale si è sempre prestato come ricorrenza particolareggiata ad esprimere sentimenti, delusioni d’amore, malesseri e gioia di vivere. È in “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo quando Quasimodo, il campanaro gobbo della celebre cattedrale parigina, viene eletto dal popolo festeggiante, tra maschere e coriandoli, il PAPA DEI FOLLI, titolo che gli viene conferito per il suo ghigno malevolo, un’espressione facciale sinistra, carnevalesca appunto. Quasimodo, a differenza degli altri uomini, il carnevale se lo porta in faccia ogni giorno della sua vita: brutto, deforme, ridicolo, buffo. Fa ridere, è oggetto di scherno e di odio. Il genio di Victor Hugo ci mostra così che il carnevale è una condizione permanente per gli esseri umani: siamo tutti un po’ sciocchi, un po’ bugiardi, folli, mascherati, gioiosi, brutti, deformi, sinistri e alterati. Tutti bravi a recitare la nostra parte, maldestramente o quasi, sul palcoscenico della vita.

E non si tratta solo di indossare quelle maschere sociali di pirandelliana memoria: il carnevale è esuberanza interiore, eccesso di fantasia, confusione esistenziale, finzione giocosa, trasformazione scabrosa e inganno dell’uomo. Ci travestiamo da sempre perché ognuno di noi vorrebbe essere altro da sé fin dalla nascita. Ci mascheriamo perché vogliamo proteggere dal mondo la nostra vera essenza, camuffiamo noi stessi per ingannarci, usiamo il filtro dell’arte per mettere a fuoco la vita e recitiamo un ruolo sociale perché così ci sentiamo meno bugiardi.

La vida es un carnaval, del resto: è quello che cantava Celia Cruz nel 1998 per celebrare l’inno alla vita di Cuba con un danzante ritmo di salsa, burlesco e leggero. Un titolo così spudoratamente vero da fare il giro del mondo nelle radio e nelle televisioni.

Ma c’è chi al carnevale dà un sapore romantico senza intriderlo di amarezza come fa Caterina Caselli e senza dargli un senso esistenziale come fa Celia Cruz: il carnevale e i suoi coriandoli in festa rappresentano il tripudio dell’amore per Mina, la tigre di Cremona, che dei coriandoli ne fa il titolo della canzone.

“Nel nostro amore felice felice è sempre carnevale e se ti guardo sorridi, sorridi e io sorrido a te. Coriandoli di sogno, coriandoli d’amore io vedo turbinare nel vento, nel vento, nel vento intorno a me”. 

Metafora di un amore travolgente e variopinto, come la festa del carnevale, questo amore è destinato a trasmettere gioia contagiosa e leggerezza: del resto erano gli anni Sessanta, c’era stato il miracolo del boom economico e gli italiani avevano bisogno di distrazioni leggere dopo la seconda guerra mondiale. Per questo c’era Mina alla Tv e con lei… il carnevale.

Giuni Tuosto

Viviana Miele
Viviana Miele
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