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Le maschere campane

Le maschere campane

Pulcinella è la maschera di Napoli, una delle più popolari e antiche. Già conosciuta ai tempi dei Romani e sparita con l’arrivo del Cristianesimo, è risorta nel ‘500 con la Commedia dell’Arte: da allora è una delle maschere più amate del Carnevale insieme ad Arlecchino. Pulcinella è pigro, ironico, opportunista, impertinente e chiacchierone. Ha un insaziabile voracità ed è sempre alla ricerca di cibo. Per un piatto di maccheroni è disposto a tutto: rubare, mentire, imbrogliare. Pulcinella è di poche parole, un po’ goffo, ma sempre in movimento, alla ricerca di espedienti per sfuggire alla prevaricazione e all’avarizia di ricchi e potenti.

Il colore del suo costume è il bianco, con una maschera nera sul naso lungo e adunco e un cappello di stoffa ugualmente bianca. Il nome di Pulcinella deriva dal napoletano “pollicino”, che significa pulcino e si riferisce al timbro della sua voce.

Sor Tartaglia è una maschera della Commedia dell’Arte, nata a Napoli ad inizio ‘600. E’ goffo e corpulento, senza baffi né barba e con la testa rasa. Il nome deriva dalla balbuzie da cui è afflitto. Ad essa ed alla forte miopia si limita tutta la comicità del personaggio, povero di contenuti umani. Il costume è costituito da un abito e da un mantello verde a strisce gialle, un ampio collare bianco e occhiali verdi. Nella seconda metà del Seicento Tartaglia fu popolarissimo a Napoli, anche grazie all’interpretazione colorita dell’attore Carlo Merlino. Nel Settecento un Tartaglia d’eccezione fu Agostino Fiorilli. Lo scrittore Carlo Gozzi introdusse questa maschera nelle sue commedie.

 

Lo Spagnolo: nel XVI nacque una maschera plebea ovvero lo Spagnolo, vestito di mantelletta, cappello piumato, merletti a sbrendoli sulle scarpe e una spada. Lo Spagnolo se ne andava in giro con un corteo di Pulcinelli smascherati che lo guidavano per le vie del centro; i loro tamburelli, una volta disposti al centro, invitavano il personaggio a ballare la tarantella. Inoltre è l’eterno antagonista di Pulcinella.

 

Don Nicola: sul suo capo il tricorno, il cappello a tre punte, decorato da un nastro nero con fiocchetti a ciascuna delle punte, che posa su di una parrucca di stoppa, indossa l’occhialino o gli occhiali tondi ricavati da una buccia d’arancia; la camicia conta il colletto a vela, smisuratamente grande e appuntito, di carta; veste ancora una giamberga arabescata, un panciotto fiorato, i pantaloni al ginocchio, a calice, secondo l’uso settecentesco, le scarpe a borchia. Quando passeggia si fa precedere da un servitore in divisa con l’ombrello e la sacca da viaggio. Si ferma dinanzi le botteghe, saluta i commercianti con lunghe rime a tiritera, cacciando dal taschino uno scartafaccio, aprendolo, e cominciando a leggere filastrocche carnevalesche. Il ruolo sociale che interpreta è quello dell’avvocato o del notaio.

 

Scaramuccia: è una maschera della Commedia dell’Arte. La maschera nacque a Napoli con il nome di Scaramuzza, assumendo la forma Scaramuccia nel ‘700. La maschera di Scaramuzza divenne celebre grazie all’attore Tiberio Fiorilli che lo rappresentò in Francia, dove incontrò grande fortuna e si chiamò Scaramouche. Qui il personaggio modificò il primitivo carattere: preferì la chitarra alla spada, ebbe una nuova arguzia e una psicologia più complessa. La maschera restò legata all’interpretazione del Fiorilli tanto che può dirsi scomparsa con lui.

Coviello: l’origine di questa maschera risale alla fine del ‘500, diffusa soprattutto nell’Italia Centro-meridionale, dove è nota con il cognome di Cetrullo, Cetrulli, Ciavala, Gazzo o Gardocchia. Coviello, diminutivo di Iacoviello (Giacomino), non ha solitamente un ruolo ben definito né stabile: a volte è stupido, altre rude bravaccio, taverniere intrigante, servo sciocco, mite padre di famiglia, a seconda delle esigenze della commedia e delle caratteristiche dell’interprete. Anche il suo aspetto non è sempre costante. In alcune incisioni del ‘600 di Francesco Bertarelli viene raffigurato con lunghi pantaloni attillati allacciati sui fianchi, un corpetto aderente e una corta mantella. Indossa anche una maschera con un naso enorme sopra il quale poggiano degli occhiali smisurati. Porta spesso anche un mandolino.

 

 

LE MASCHERE MENO CONOSCIUTE

Il Medico: un’altra maschera apprezzata nella seconda metà del XIX era quella del Medico o del Ciarlatano del Molo che si vantava di essere il miglior genio della medicina, tutto pomposo, ed esordiva con delle cure, formule e rimedi alquanto strani. Il suo vestito era composto da una lunga tunica verde carico, lunga fino ai piedi con ritagli in argento, incollati sul bavero, sulle maniche e sulle falde e munito di calzoni corti; indossava una parrucca di carta bianca e rossa con lunghi codini sino ai piedi mentre i grossi occhiali pendenti sul volto, furono la sua caratteristica. Il Dottore se ne andava in giro sempre con la sua cassetta, colma degli strumenti del mestiere che utilizzava sia durante le rappresentazioni teatrali che per le rimostranze popolari.

Il Cacciamole o Cavadenti: indossava un frac logoro, un cappello a 3 punte tutto consumato e delle grosse lenti sul naso. Se ne andava per le strade a bordo di una carrozzella tutta rotta, improvvisandosi signorone; qui faceva accomodare i suoi assistiti (complici della maschera) che, dopo un’attenta analisi diagnostica (professando paroloni a caso) era pronto ad operare, cavando i denti con una grossa tenaglia o per sbaglio, asportando tutta la mascella del povero malcapitato.

Pasqualotto o Pascalotto: era una maschera ottocentesca presente tutto l’anno e non si accompagnava mai a nessun’altra figura. La sua caratteristica principale era l’agilità ginnica con cui si divertiva a lanciare il suo lungo bastone in aria: era l’ermafrodito per eccellenza, vestito da donna dal seno prosperoso e volto ben truccato, se ne andava a spasso con il suo tamburello, divertendo la gente, cantando e ballando per la città.

Il Piglietta Calabrese: era un lontano parente di Don Nicola ed era la parodia dell’uomo di legge alquanto imbranato. Durante il Carnevale era permesso sfottere i propri rivali o di altri ceti, gruppi culturali; come in questo caso, si deridevano gli studenti calabresi che frequentavano l’Università di legge a Napoli. Questa maschera andava in processione con il corteo dei farinari dove recitava una scenetta, immedesimandosi nel classico provincialotto sbalordito dalla grande città.

Giangurgolo: nacque a Napoli nel 1618 e si distingue per il suo gusto delle oscenità. Il suo nome è composto da Gian-Gianni e da gurgolo-gorgo, un chiaro rimando alla voracità e alla fame da donnaiolo; è munito di spada, cappello a punta tipico calabrese, una maschera rossa che gli fa il nasone. Va in giro da gradasso, salendo nelle carrozze delle dame, vantandosi del suo attributo sessuale e decantando versi proibiti da far arrossire anche le meretrici. Il suo parlare è in calabrese napoletanizzato (per ironizzare sui calabresi dell’epoca) e secondo le cronache è una tipica maschera d’invenzione napoletana.

Lavoro svolto da: D.V.G ,D.P.M, F.C, G.A, G.M., classe 2 sez. B

Silvia De Simone
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