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LETTERA DI PALATUCCI ALLA MAMMA DAL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI DACHAU

LETTERA DI PALATUCCI ALLA MAMMA DAL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI DACHAU

Dachau, 19 dicembre 1944

Amata mamma,
da quanto tempo non pronuncio più queste due parole! Purtroppo solo oggi ho avuto la
possibilità di scrivervi dopo un lungo silenzio, ma l’esigenza di farvi avere mie notizie mi
tormenta tutti i giorni…
Mamma, avrete sicuramente capito chi sono…il vostro amatissimo figlio Giovanni! E’ notte
fonda, vi sto scrivendo di nascosto, adesso mi trovo a Dachau, a circa 16 km a nord- ovest di
Monaco di Baviera, nel sud della Germania, in un campo di concentramento dove regna il
terrore e sono prigioniero insieme a tante altre migliaia di persone. Qui siamo controllati
notte e giorno e non possiamo comunicare con l’esterno, per questo motivo non sono
riuscito a farvi recapitare mie notizie prima d’ora e ho premura di farvi sapere che sono
ancora vivo. Guardie e poliziotti armati ci scortano giorno e notte e fucilano chiunque cerchi
di scappare, il che è impossibile visto che un reticolato di filo elettrico, un fossato e un muro
con 7 torrette di guardia circondano il campo in cui mi trovo prigioniero. Mamma, prima di
essere deportato in questo campo di concentramento, sono stato arrestato, so che per Voi
e per mio padre è un disonore, ma voglio raccontarvi cosa ho vissuto e anche la
motivazione per cui mi hanno arrestato, in modo che non mi giudichiate male. Ma andiamo
con ordine, voglio raccontarvi tutto dall’inizio: dopo 40 giorni di arresto sono stato
prelevato dal carcere di Trieste, per poi essere trasferito insieme ad altri su un convoglio.
Non avrei mai creduto che il mio destino avesse in serbo tutto ciò. Ci hanno ammassato su
un treno merci con vagoni chiusi ermeticamente, colmi di noi poveri passeggeri. Vedevo
molti morire di fame, di sete e di freddo, a causa delle temperature gelide; altri, invece,
morivano per le epidemie di tifo o per altre malattie. Una volta scesi dal treno, attraverso
una strada lunga, ci hanno portato alla cosiddetta “porta dell’Inferno” e, dopo essere
passati sotto un grande arco e dopo aver attraversato un lungo cancello in ferro battuto a
due ante, abbiamo visto il grande campo di concentramento, dove mi trovo tutt’ora e da
cui, alla luce di una piccola candela vi sto scrivendo questa lettera che spero vi possa
arrivare un giorno, in un modo o nell’altro…Mamma, non piangete, non angosciatevi per
me, unico figlio maschio tanto atteso, ma siate felice, insieme a papà, e orgogliosa per
avermi inculcato abnegazione e amore verso il prossimo. E papà? Mi ha perdonato? Lo so,
lui avrebbe voluto che io intraprendessi la carriera forense, per poi aprire uno studio lì, a
Montella, il nostro piccolo e bellissimo paese nell’Irpinia, ma voglio farvi sapere che la
professione di avvocato non conciliava con i miei desideri. Perdonatemi anche Voi Papà, se
sono rimasto vittima del mio buon cuore, sempre fedele all’impegno assunto e consapevole
dei gravi rischi a cui andavo incontro e a causa dei quali mi trovo qui adesso. Voglio farvi
sapere la verità del mio arresto: quando ero questore a Fiume c’era una grande comunità
ebraica ed io mi sono prodigato in aiuto di migliaia di cittadini ebrei perseguitati per
impedirne l’arresto e la deportazione nei campi di concentramento, dopo l’emanazione
delle leggi razziali e le durissime disposizioni di Hitler, accettate anche dal nostro duce
Mussolini. Ho manomesso archivi e procurato documenti falsi per salvare da morte sicura
molti di loro, ho fornito permessi speciali, attuando azioni di depistaggio e fuga. Tutto
questo, mamma, con l’aiuto del caro zio Giuseppe, stimato vescovo. In questi mesi bui, tra
di noi, si è instaurata una singolare intesa di solidarietà verso migliaia di perseguitati. Ad un
certo punto ho anche avuto la possibilità di pormi in salvo in Svizzera, insieme alla mia
amica ebrea Mika Esler, ma non sono voluto fuggire perché Fiume aveva bisogno di me, del
mio aiuto. Tutti gli Ebrei che sono riuscito ad aiutare sono stati assai riconoscenti con me e
questo mi ha riempito il cuore perché ho sempre avuto la certezza di aver fatto la cosa
giusta!. Non so se riuscirete mai ad accettare e a condividere la mia scelta, ma la
comprenderete sicuramente perché il rispetto per i valori universali, che devono essere
uguali per tutti gli uomini me lo avete insegnato Voi ed è la ragione per cui non smetterò
mai di battermi contro questo orrore! E il resto della famiglia, come sta? Spero bene. Cara
mamma, mi dispiace arrecarvi maggiore dolore con queste parole, d’altronde siamo quasi a
Natale, ma ho molta paura; in questo posto traspare solo questo sentimento perché
l’orrore dello sterminio è molto feroce. Non so se questo pezzo di carta straccia, insieme
alle mie lacrime, arriveranno un giorno nelle vostre mani, ma mi auguro che questo possa
accadere presto. Se solo mi poteste vedere, Mamma… Forse non mi riconoscereste più.
Peserò all’incirca 50 kg, qui ci trattano come bestie, facendoci lavorare tutto il giorno, senza
alcuna pietà. Questo è il destino di centinaia di persone, allontanate dalle proprie case e
trascinate in questo inferno. Non lo avremmo mai immaginato, Mamma! La disperazione è
così forte e il sangue così gelato che anche le lacrime stentano ad uscire…Se penso a quel
treno che mi ha strappato alle vostre braccia, a tutti quei ragazzi sconosciuti che si
stringevano addosso gli uni agli altri per trovare un po’ di ristoro, ma soprattutto un po’ di
coraggio… Il coraggio che devi avere quando arrivi qui nel campo. Ti accolgono con 25
bastonate di “benvenuto”, ti spogliano, ti rasano i capelli e ti privano di tutto, della tua
identità e dei tuoi ricordi che vanno a finire in un immondezzaio; poi ti consegnano un
pigiama a righe bianche e grigie, che sarà la tua divisa, e ti accompagnano nella camerata,
condivisa con altri 50 detenuti, con condizioni igieniche pessime e dove dormirai su un
pancone duro, che sarà il tuo letto. Le baracche totali sono 34; io sono nella numero 25.
Sono divise in categorie: quelle di sinistra sono destinate ai prigionieri lavoratori, agli
invalidi e ai malati. Quella più temuta è la numero 15, detta “della compagnia di punizione”
perché destinata ai prigionieri ebrei, a cui sono riservate le punizioni più severe. Ognuno di
noi è identificato con un numero di matricola, il mio è 117826, tatuato sul braccio. Io,
essendo internato politico di nazionalità italiana, indosso una casacca con un piccolo
triangolo rosso, con al centro la lettera “I”. Mamma, ecco quello che siamo qui, un numero
di una fila interminabile che esce solo per lavorare fino a quando i soldati te lo impongono,
in cambio di un po’ di brodo freddo e del pane vecchio ammollato da mangiare a
mezzogiorno. La stessa fila domani non sarà più la stessa perché, se le forze, all’improvviso,
ti dovessero abbandonare, ti puniscono appendendoti per le mani dietro la schiena con dei
ganci, per ore, così in alto da non toccare terra con i piedi oppure ti frustano con una cinta
di cuoio bagnata per poi rinchiuderti in una stanza talmente piccola da non potersi sdraiare,
la cosiddetta “Strafblock” che tutti temono. Chi non ce la fa passa sotto le mani del dottor
Rocher e il prof Schilling, che da come si dice …facciano raccapriccianti esperimenti umani e
credetemi, Mamma, sono molti a non farcela perché il lavoro qui è massacrante ed è lo
strumento di punizione e terrore più utilizzato nei nostri confronti. Ci sono officine per
l’industria delle armi, campi e cantieri. L’industria bellica viene spesso danneggiata da
attacchi aerei da parte degli alleati e il Ministero tedesco degli armamenti ha progettato la
costruzione di stabilimenti sotterranei a prova di bombe. Abbiamo imparato la parola
d’ordine di Dachau: “Sgobba, compagno, poiché il lavoro rende liberi”. Tra l’area alberata,
si trovano le camere a gas dove chi entra non esce più e i forni crematori; la polvere che
producono è come una neve scura e sporca che cade tutto il giorno sul campo. Mamma,
tante altre cose vorrei dirvi, confidarvi, anche solo per sfogarmi un po’ ma è tardi e sono
molto stanco, gli occhi si chiudono e le forze mi abbandonano. Mamma, Papà, vi saluto con
amore; un caloroso abbraccio a tutta la famiglia, anche a zio Antonio, a zio Alfonso e zio
Giuseppe, se avete la possibilità di avere loro notizie. Spero tanto che un giorno questa
lettera trovi la via di casa, affinché non viviate più nella preoccupazione e nell’angoscia di
non sapere che fine ha fatto il vostro amato figlio Giovanni. Non so se questo sarà un
doloroso addio o un semplice arrivederci ma, in entrambi i casi, ricordate che vi porterò
sempre nel mio cuore e, non appena le circostanze lo consentiranno, o sarò finalmente
libero, correrò a Montella a riabbracciarvi.
Con amore, vostro figlio Giovanni
P.s. Prego chiunque ritrovi questa lettera di farla avere ai miei genitori: Felice Palatucci e
Angela Molinari di Montella, in Italia, regione Campania, oppure ai miei zii Antonio
Palatucci o Alfonso Palatucci oppure Giuseppe Maria Palatucci vescovo di Campagna,
regione Campania.
GRAZIE!

 

Lavoro di: F.A., classe 3 sez. A, plesso di Lioni, vincitrice del primo premio della borsa di studio dedicata a Giovanni Palatucci

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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