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Riflessioni

Riflessioni

Fino ad oggi, la mafia, come la camorra o la ndrangheta hanno ucciso spietatamente chiunque gli andasse contro, come avvocati magistrati, politici, giornalisti ecc. ma anche persone che non c’entrano niente con l’accaduto senza distinzione di età. Sono considerati grandi eroi quelli che muoiono per combattere la mafia e vengono sempre ricordati con giornate a loro dedicate, manifestazioni, programmi televisivi. Ma non vengono mai ricordati per esempio le guardie del corpo, che rischiano la vita ogni singolo giorno per proteggere gli eroi; oppure i civili che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato e vengono colpiti da un proiettile vagante o da una bomba.
Un esempio sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno sfidato la mafia. Lo hanno fatto da soli, con le armi della loro intelligenza, senza superpoteri. Alla fine non ce l’hanno fatta, sono stati uccisi ma nessuno si è
dimenticato di loro. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone erano due magistrati, due uomini che negli anni Ottanta quando ancora non si conosceva nulla della mafia hanno scoperto i segreti di questa organizzazione. Falcone, grazie
all’interpretazione dei segni, dei gesti, dei messaggi e dei silenzi degli uomini di Cosa Nostra è riuscito a decifrare il loro “linguaggio”, il loro modo d’agire.
Un lavoro fatto soprattutto grazie al rapporto con i pentiti, uomini che scelgono di abbandonare la mafia per collaborare con la Giustizia. Proprio grazie a uno di loro, Tommaso Buscetta, hanno iniziato a conoscere il
codice segreto della mafia: per i magistrati è stato come un professore di lingue che ti permette di andare dai turchi senza parlare con i gesti.
Non amavano sentirsi degli eroi. Anche loro come noi avevano paura dei “cattivi”, di quelli che non rispettano alcuna regola pur di farsi gli affari propri ma non si sono mai arresi. E soprattutto hanno dimostrato che lavorare insieme può essere un’arma vincente.
In quegli anni, infatti, con un altro anziano magistrato loro capo, Antonino Caponnetto, fondarono un “pool” contro la mafia grazie al quale riuscirono a catturare centinaia di mafiosi condannati nell’ormai famoso maxiprocesso concluso il 30 gennaio 1992. Ma la mafia non dimentica. Da quel momento preparò la sua vendetta: uccidere Falcone e Borsellino. Il 23 maggio 1992 alle ore 17.58 lungo il tunnel dell’autostrada 29 che collega la città di Palermo a Mazara del Vallo 500 kg di tritolo fecero saltare in aria il tratto autostradale in cui viaggiavano in automobile Giovanni Falcone e sua moglie Valeria Morvillo. L’esito della strage fu drammatico e la mafia raggiunse il suo intento, quello di uccidere i due coniugi e tre uomini della loro scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. L’uomo che azionò il telecomando che causò la loro morte fu Giovanni Brusca, colui che uccise sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlioletto di un pentito di mafia.

Paolo Borsellino fu addolorato per la morte del suo fidato amico Giovanni Falcone a tal punto da sapere che il prossimo a venire ucciso sarebbe stato lui, come testimoniano le sue parole: “Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Trascorsero solo 57 giorni dalla morte del suo amico carissimo, quando il 19 luglio 1992 all’età di soli 52 anni morì anche Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. In quel caldo pomeriggio di domenica 19 luglio del tritolo era stato posizionato nella macchina del giudice parcheggiata in Via d’Amelio. In quel giorno egli si recò a fare visita a sua madre come era solito fare spesso e proprio quella visita gli fu fatale. La via si trasformò in un vero e proprio scenario di guerra, decine di macchine e palazzi furono distrutti a causa della terribile deflagrazione causata dal tritolo. Fino a poco tempo fa non si scoprì chi fossero i mandanti della strage di Via d’Amelio, in quanto le indagini furono oggetto di numerosi depistaggi, come per esempio la scomparsa della celebre agenda rossa del giudice.

Comunque siano andate le cose, lo Stato italiano ha perso due uomini onorevoli, rispettosi della giustizia e che tutti noi oggi rimpiangiamo più che mai. Questi furono 2 dei più famosi e terribili omicidi della mafia, e ancora oggi vengono commemorati.

 

Lavoro svolto da M.V., classe 3°sez. C

Silvia De Simone
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