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Riflessioni di un ragazzo

Riflessioni di un ragazzo

Sono un ragazzo che ama molto la lettura e la musica. Nelle ore libere, dopo aver terminato i compiti scolastici, mi dedico alla lettura di libri di opere storiche e di romanzi interessanti.

Mi è capitato tra le mani, un giorno, nella libreria di mio padre, il “Diario di Anna Frank”, l’ho letto e mi sono commosso, perché è la storia di una ragazza ebrea della mia stessa età, 13 anni, la quale era costretta a vivere in un rifugio insieme alla sua famiglia, per sfuggire alla cattura da parte della Gestapo tedesca, a causa della legge marziale emanata contro gli ebrei. Lei, Anna Frank, non vive le atrocità della guerra, ma il suo mondo adolescenziale, riportando, giorno per giorno, i suoi pensieri su un quaderno: le incomprensioni col padre, il distacco della madre, il rapporto poco confidenziale con la sorella maggiore. Scrive ogni giorno su ciò che riesce a vedere da una piccola finestra del rifugio che dava sui tetti delle altre case e prova gioia nel guardare un gattino accovacciato, ignaro di ciò che accadeva lì vicino. La ragazza si immaginava un futuro meraviglioso, ma i sogni svanirono quando nell’agosto del 1944 la polizia tedesca scoprì l’alloggio segreto e lei, insieme ai suoi, venne deportata in un campo di concentramento da dove non ritornò più. Incuriosito dall’argomento, ho cercato approfondimenti in merito alla deportazione degli ebrei e mi sono imbattuto in un testo molto interessante su Giovanni Palatucci “L’eroe irpino”. Nato a Montella il 31 maggio 1909 ha ricevuto un’educazione religiosa austera, avendo degli zii padri conventuali, uno dei quali divenne vescovo della diocesi di Campagna in provincia di Salerno. Un ruolo importante nella sua educazione lo ebbe la madre, donna semplice, ma di elette virtù cristiane, alla quale il figlio Giovanni fu molto legato negli anni di lontananza. La mamma, infatti, spesso confidava ai parenti che il figlio Giovannino era un bambino speciale, sempre pronto ad aiutare gli altri, buono e pieno di sentimenti. Il padre, invece, era un uomo forte e severo che vedeva nel figlio maschio l’affermazione nella società del suo paese, quale riscatto dei suoi sacrifici. Dopo i primi anni di studi nel paese natio, Palatucci frequentò il liceo classico “Pascucci” di Dentecane e poi il “Giannone” di Benevento. Nel 1926 si trasferì a Ravello, dove suo zio Giuseppe Maria Palatucci, padre guardiano di un convento, lo aiutò ad ottenere una scrupolosa preparazione in vista degli esami di maturità che Giovanni conseguì da privatista presso il liceo” Tasso” di Salerno con una brillante votazione.

Si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza “Federico II” di Napoli, ma dopo 2 anni, dovendo prestare servizio militare come allievo ufficiale di complemento a Moncalieri (Torino), si trasferì con gli studi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, contro il parere del padre, che lo avrebbe voluto avvocato nel suo paese, quale prestigio di famiglia. Conseguita la laurea, il Palatucci, anche se aveva superato gli esami di procuratore legale, non si scrisse all’albo degli Avvocati, perché non intendeva esercitare la professione di avvocato anche perché, come scrisse alla sorella Maria “Non si sentiva di chiedere danaro a chi doveva rendere conto alla giustizia”. Allora per poter sopperire alle spese personali fu assunto come vice commissario in prova presso la questura di Genova. Nel frattempo, Giovanni frequentò il corso di funzionari della Pubblica sicurezza che superò con grande merito. La scelta di entrare in polizia fu un ripiego per ragioni economiche. Nel 1937 fu trasferito da Genova alla questura di Fiume, una città multietnica con una forte presenza ebraica. Il suo compito era quello di compilare gli schedari degli ebrei e di sorvegliarli per impedire che essi trasgredissero gli ordini dei nazisti tedeschi. Fu questo il momento più importante per Palatucci, quello di salvare gli ebrei condannati ai campi di concentramento. Il 16 marzo del 1939, Giovanni Palatucci salvò i primi 800 ebrei, che furono nascosti nella località di Abbazia con l’aiuto del vescovo della città. Poi, grazie all’aiuto di amici e collaboratori, riuscì a salvare altre migliaia di ebrei, inviandone parte anche a Campagna dove lo zio Giuseppe Maria era vescovo. Intanto Palatucci capì che le cose si stavano complicando e che doveva fare di tutto e presto per salvare ancora altri ebrei. Ma il 13 settembre del 1944, sospettato di “cospirazione e intelligenza col nemico” fu arrestato dalla polizia di sicurezza germanica e trasferito nel carcere di Coroneo di Trieste dove rimase per 40 giorni.

Il 22 ottobre del 1944 la sua condanna a morte fu commutata in quella della deportazione, grazie all’intervento di un suo amico e fu internato nel “campo degli orrori” di Dachau in Baviera, dove morì il 10 febbraio del 1945 di stenti e di sevizie di ogni genere.

Il corpo di Giovanni Palatucci fu gettato, insieme a migliaia di altri deportati, nelle fosse comuni sulle colline del Leitenberg.

Il sacrificio del nostro conterraneo non è stato vano, perché il suo nome è stato ricordato non solo ad Avellino dove sono state intitolate strade e piazze e a Montella, suo paese natio, dove le scuole portano il suo nome, ma anche in molte città d’Italia e in moltissime questure di commissari di polizia.

Secondo la mia opinione Palatucci, giovane intelligente, dal carattere forte come noi irpini, galantuomo, ha salvato migliaia di ebrei dalla ferocia nazista perché aveva un animo cristiano, si sentiva contento ed appagato nella sua coscienza e per il profondo amore dei principi di uguaglianza e di fratellanza.

Gli ebrei, subito dopo la sua morte nel 1952, intitolarono in sua memoria una strada e un parco presso Tel Aviv. Il 17 aprile del 1955 gli fu conferita la medaglia d’oro alla memoria dall’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia e nel 1995 la medaglia d’oro al merito civile dal Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro.

Il nostro eroe ha lasciato un grande messaggio: odiare la guerra e rispettare gli altri come fratelli. Ma, a mio modesto avviso, in un mondo come oggi in cui prevale la cattiveria, la superficialità e l’abbandono delle regole cristiane, i ragazzi come me dovrebbero essere guidati al bene dalla scuola o attraverso incontri in azioni cattoliche anziché perdere tempo in mezzo alle strade o dinanzi a posti malsani.

Io provo gioia quando leggo, quando suono il piano e quando sto con persone a cui voglio bene.

V.C., classe 3 sez. A

Silvia De Simone
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