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“Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riuscire ad esprimerlo con le parole…” di Giuni Tuosto

“Tu prova ad avere un mondo nel cuore  e non riuscire ad esprimerlo con le parole…” di Giuni Tuosto

L’autismo dovrebbe essere spiegato agli adulti. 

Perché?

Perché troppo spesso noi adulti ci crogioliamo in definizioni di normalità, alte mura di pietra costruite in anni e anni di convinzioni mentali. Le definizioni sono i baluardi dell’io, le trincee delle insicurezze, i rifugi spiegati delle infanzie maldestre. E così facendo, definizione dopo definizione, ci ritroviamo a vivere una vita non nostra. Diventiamo incapaci di comunicare chi siamo davvero, anzi diventiamo incapaci di comunicare e basta.

Le definizioni scalfiscono il cuore, usurpano la spontaneità, uccidono il candore, soffocano l’unicità di ognuno di noi. Sei nato unico. Resta unico. La vera sfida della vita è questa. 

E dato che le definizioni piacciono tanto agli adulti, partiamo da una di queste: “l’autismo è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale, che provoca ristrettezza di interesse e comportamenti ripetitivi. Generalmente si manifesta nei primi anni di vita. Una delle sue caratteristiche è l’isolamento autistico”. Una definizione di malattia. Un bimbo autistico è anomalo per la nostra società. Si isola dal mondo per proteggersi dai pericoli esterni e per essere sé stesso, indisturbato.

Ecco, io questa non la chiamo malattia. Io la chiamo libertà.

Non vi sembra che un bimbo autistico sia più libero di voi? Libero di scarabocchiare, se vuole. Libero di perdersi nel loop di due note musicali, se vuole. Libero di non salutare per strada, se vuole. E voi? Voi siete costretti a salutare chi non vi va a genio, ma vi paga il posto di lavoro. Voi siete costretti a rinunciare alla vostra musica, pure quella fatta di due sole note, per le urgenze della vita. Voi siete costretti a rinunciare finanche ai vostri scarabocchi. Schiavi di convenzioni sociali, regole non scritte, obblighi ingombranti, leggi non dette e imperativi distorti, sotto la spada di Damocle di una quotidianità ingabbiante. Un bimbo autistico si perde nei suoi schemi e nei suoi silenzi, è vero, ma non mi risulta che gli adulti non lo facciano. Anzi. Entrambi ne sono inconsapevoli.

Il bimbo autistico però, a differenza degli adulti, è perennemente in contatto con sé stesso: non è un caso che la parola ‘autismo’ derivi dal greco αυτόϛ (stesso). Ben trincerato dietro quei riti comportamentali c’è un incanto interiore: un’oasi dell’io. Quasi un pianeta nascosto che non conosce le mille finzioni della vita e le trappole degli adulti.

Ti direbbe il bimbo autistico: “ok, le relazioni sociali non sono il mio forte. Anche a parlare non sono poi tanto bravo. E infine sono monotono, mi ripeto spesso e ho un’ossessione per i soliti oggetti, ma puoi venire con me. Io ti posso portare lontano, ma anche vicino. Ti porto dove non c’è l’ego sbandierato sui social, né arrivismo, né odio, né competizione. Ci sono io, semplicemente io, quell’io solitario che dà il nome alla mia malattia. Ho da offrirti il mio incanto interiore, quello che il matto di Fabrizio De André non riesce ad esprimere con le parole. E neanche io. Quasi nessuno arriva fin quaggiù. Non permetto a molte persone di entrare nel mio mondo. Sono io a scegliere gli intrusi. Nessuno abusa della mia emotività. Non c’è nessuno che non abbia rispetto dei miei sentimenti, perché sono io ad aprire la porta all’ospite desiderato. E se ti ho scelto per farti entrare nel mio cuore, non faccio regali costosi, né prometto cose che non posso mantenere per convincerti ad entrare, semplicemente ti prendo per mano. La spontaneità è tutto ciò che ho: per questo sono anormale. Anormale e autentico. Nascondere il proprio incanto interiore è un’arte. Condividerlo con poche persone è amore. Pensateci: quanti di voi sono in grado di farlo?”

Viviana Miele
Viviana Miele
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