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Una generazione narra all’altra… Testimonianze dal passato

Una generazione narra all’altra… Testimonianze dal passato

Una giornata di novembre anomala, troppo calda per quella stagione. Tanti ne avevano approfittato per una gita fuori porta e si apprestavano al ritorno. Per chi, invece, si trovava a casa, a quei tempi i canali televisivi si contavano sulle dite di una mano e la Rai trasmetteva una delle partite della serie A giocate nel pomeriggio. A un tratto venne giù il mondo, tutto cominciò a ballare proprio come una nave in tempesta. Il 23 novembre 1980, alle ore 19.34, la terra tremò per un minuto e venti, interminabili, secondi. Il terremoto che colpì l’Irpinia, di magnitudo 6.9, rase al suolo interi paesi e causò 2.570 morti, senza contare le migliaia di feriti e sfollati. A distanza di più di quarant’anni è ancora vivo il ricordo di quanti hanno vissuto sulla propria pelle quegli attimi di terrore e, con grande emozione, raccontano ai più giovani la loro esperienza.

Nonno A. rammenta: “abbiamo trascorso la giornata fuori e, dopo il cinema, siamo rientrati a casa. Poco dopo la scossa, mia moglie ha istintivamente richiamato i bambini sul divano e si è adagiata su di loro, proteggendoli, ma una trave della casa nella caduta l’ha colpita, ferendola. È andata via la luce, è rimasta accesa soltanto la stufa che ha illuminato i nostri passi alla ricerca dell’uscita. Abbiamo percorso le scale e, aprendo il portone, siamo stati travolti da una nuvola di cemento, così pesante da non permetterci di vedere nulla. Ci siamo fatti largo tra le macerie che già occupavano la strada: le case non c’erano più, non si riusciva a riconoscere il paese, mancavano i punti di riferimento”. Anche mamma G., all’epoca bambina, conserva chiare memorie di momenti tanto concitati: “Mio fratello più grande ci strinse a lui per non farci cadere. Nel frattempo la vetrina con dentro bicchieri e bottiglie in vetro era caduta e mia madre chiamava mio padre al piano di sopra; in realtà, era purtroppo svenuto a causa dell’armadio che, cadendo, lo aveva gettato a terra. Quando si svegliò, corse giù da noi e cercò di aprire la porta: vide così che le case del nostro quartiere stavano crollando e che per strada si stavano creando delle crepe da dove uscivano fiamme e una grande nube di polvere. La terra tremò per tutta la notte e nessuno di noi chiuse occhio”.

Allo stesso modo, nonno V. testimonia la violenza della scossa, tanto forte da non riuscire a reggersi in piedi, e la distruzione causata dall’evento sismico: “appena usciti in strada non si vedeva niente sia perché la corrente era saltata sia perché tutte le abitazioni crollate avevano fatto alzare un gran polverone. L’unica cosa che faceva un po’ di luce quella sera era la luna piena. Decidemmo di rifugiarci in macchina e di spostarci in uno spazio aperto dove si raggrupparono tutti gli abitanti del quartiere, accendemmo un fuoco per riscaldarsi con quello che riuscimmo a trovare nei dintorni, cercando di darci conforto l’uno con l’altro. Quello che proprio non si può dimenticare sono i lamenti, i pianti e le richieste di aiuto delle persone intrappolate sotto le macerie”.

Anche papà E. ha ben chiara nella mente l’immagine della propria casa completamente sventrata, tanto da riuscire a vedere il tavolo e le sedie della cucina collocate al secondo piano: “abbiamo avuto una paura terribile, paura di morire anche se eravamo usciti sani e salvi dalle nostre case”.

Nonna L. ricorda la confusione subito dopo il sisma, la sensazione di smarrimento e soprattutto il dramma di non avere notizie dei propri cari, l’angoscia ed il panico al solo pensiero di non poterli riabbracciare più: “mio fratello era con gli amici nell’oratorio della chiesa di San Rocco. Purtroppo quella sera la chiesa crollò ma Andrea miracolosamente riuscì a salvarsi, proteggendosi sotto un arco; non appena poté uscire, iniziò a vagare per il paese, cercando in tutti i modi di tornare a casa: le strade erano impraticabili, la terra continuava a tremare, le linee telefoniche erano interrotte e la corrente era saltata, così in quella situazione era difficilissimo trovare la via del ritorno. Preso dallo sconforto e impaurito, chiese aiuto ad alcuni passanti che, vedendolo solo, lo portarono con loro in campagna. Intanto, insieme a mia madre continuammo a cercarlo per gran parte della notte, disperate al solo pensiero di non rivederlo mai più. Solo al mattino Andrea fu riaccompagnato a casa e, in quel momento, la gioia per il miracolo avvenuto prese il posto della disperazione”.

Ugualmente mamma G. racconta la disperazione subentrata nel momento in cui, compreso cosa fosse appena accaduto, i suoi genitori si resero conto che le loro figlie maggiori mancavano all’appello: “Io stavo facendo i compiti in casa perché il giorno prima avevo avuto un po’ di febbre, le mie sorelle invece erano uscite con le amiche. Non le ho riviste mai più e, a distanza di molti anni, è forte la tristezza per la loro mancanza”.

La ripresa è stata lenta, dolorosa e segnata da innumerevoli difficoltà, a partire dal ritardo dei soccorsi, a causa dell’isolamento geografico delle aree colpite ed alla conseguente impossibilità di accesso dei mezzi nelle zone dell’entroterra, fino al dramma degli sfollati, accampati dapprima nelle tende e nei vagoni ferroviari, poi nelle roulotte, infine nei container, privi di ogni mezzo utile alla sussistenza, con spazi limitatissimi, senza acqua e luce, vessati dall’incombere del freddo e della neve; solo, infatti,  chi aveva la fortuna di avere parenti in altre città ha potuto trascorrere i mesi invernali lontano da Lioni, per poi tornare a primavera.

Mamma M. riporta come a Lioni, per giorni, non sia arrivato nessuno a prestare aiuto, perciò si sono supportati l’uno con l’altro: “i contadini portavano il latte delle loro mucche, così come i commercianti misero a disposizione tutto ciò che si era salvato nei propri negozi; solo dopo quasi una settimana arrivò un camion da Roma che distribuiva acqua in buste trasparenti, giocattoli e del cibo”. Ancora, Mamma C. ha passato la prima notte da sfollata in una piscina e, in tempi celeri, data la tenera età del fratellino, hanno assegnato alla sua famiglia un prefabbricato in cui hanno vissuto per dieci anni. Nonno G., invece, ricorda di essere rimasto a dormire per quasi due mesi in macchina e che al campo sportivo offrivano a tutti da mangiare gratis, grazie alla solidarietà. Anche la scuola, ripresa dopo pochi mesi, era in un container e all’esterno, al mattino, servivano ai bambini latte caldo con  i biscotti per dare loro una parvenza di normalità.

La ferita di quella sera, dunque, ha lasciato un segno indelebile in tutta la popolazione lionese ma ha anche contribuito a rafforzare l’affetto profondo e lo spirito di collaborazione che da sempre la contraddistingue.

TESTIMONIANZE A CURA DEGLI ALUNNI DELLA I C

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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