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Viva la donna!

Viva la donna!

L’8 marzo di ogni anno si festeggia la Festa della Donna. La Giornata Internazionale delle donne viene celebrata tutti gli anni per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche che hanno ottenuto le donne nel corso della storia.

La Festa della Donna venne per la prima volta festeggiata negli Stati Uniti nel 1909; negli anni successivi anche altri Paesi europei iniziarono a celebrarla per ricordare le discriminazioni e i soprusi che le donne erano costrette a subire nei vari contesti.

Le origini di questa Festa sono da riscontrarsi nelle lotte sociali femministe e si decise di scegliere una giornata internazionale per ricordare un evento tragico: nel 1908 fu organizzato uno sciopero da un gruppo di operaie dell’industria tessile Cotton che decise di protestare contro le difficili condizioni lavorative all’interno della loro fabbrica. Lo sciopero ebbe però delle conseguenze drammatiche: il proprietario decise di chiudere tutte le porte dell’impianto e l’8 marzo sfortunatamente divampò un incendio nel quale 129 donne rimasero arse vive. Rosa Luxembourg decise quindi che l’8 marzo sarebbe divenuta una giornata simbolo per ricordare le conquiste ottenute dalle donne nel mondo lavorativo.

I fiori della mimosa hanno un significato ben preciso: forza e femminilità. Non è quindi un caso che siano stati eletti simbolo della Festa della Donna.

 

Il 25 novembre è la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne e sul Femminicidio e questa data non è stata scelta a caso dall’ONU: il 25 novembre, infatti, ricorre l’anniversario dell’assassinio delle sorelle Mirabal, tre coraggiose donne rivoluzionarie che furono massacrate nel 1960.

Fu istituita per la prima volta il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; da allora, rappresenta il momento più importante dell’anno per parlare, informare e sensibilizzare su questo grave problema che riguarda tutti i Paesi del mondo.

La violenza sulle donne, definita spesso come violenza di genere, ha molti volti: dai reati come la violenza fisica a quella sessuale, lo stupro, senza dimenticare la violenza psicologica. Nel mondo subisce violenza, mediamente, una donna su tre dai 15 anni in su. Sono spesso i partner o gli ex partner a commettere gli atti più gravi: in Italia sono, infatti, responsabili del 62,7% degli stupri e del 38% dei casi di omicidi di donne.

In molti paesi, come l’Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L’idea è nata da un’installazione dell’artista messicana Elina Chauvet, Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez, e ispirata all’omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città.

Le istituzioni, compresa la scuola, hanno pertanto il compito di promuovere il rispetto delle differenze e di offrire modelli positivi, a partire da un uso corretto e responsabile delle parole. Educare contro la violenza di genere significa anche decontaminare il codice linguistico da commenti osceni, doppi-sensi volgari e intercalari che umiliano e offendono la donna in quanto tale, rappresentandola come oggetto del desiderio e del potere dell’uomo; significa denunciare e rifiutare espressioni che legittimano mancanza di rispetto.

Donne dell’antica Grecia

Fin dall’antichità la donna è stata vista come un oggetto debole, inutile, un peso per la società e per l’uomo.

Nell’Antica Grecia le leggi, la politica, la cultura erano materia degli uomini, mentre le donne erano relegate al ruolo passivo e domestico che prevedeva la totale obbedienza al padre e, successivamente, al marito. La donna era priva di gran parte dei diritti riconosciuti ai cittadini adulti e liberi.

La vita della donna era scandita prevalentemente all’interno delle mura domestiche, nella parte interna della casa, detta gineceo. Quello di tenere le donne in casa fu un privilegio delle classi agiate. Se fosse appartenuto ad una famiglia ricca, la donna avrebbe controllato gli schiavi mentre svolgevano i lavori domestici e per il resto del tempo chiacchierava con le sue parenti. Era permesso loro di uscire solo raramente: le feste religiose erano occasioni per incontrarsi, ma anche qualche particolare avvenimento della famiglia, come ad esempio la nascita di un bambino.

Le donne di condizioni più umili, dovevano invece adoperarsi a preparare i pasti e svolgere le pulizie, ma non effettuavano le compere, un compito affidato esclusivamente agli schiavi.  Uscire di casa, per loro, poteva essere una necessità impellente specie quando, rimaste vedove, erano costrette a trovarsi un lavoro retribuito per il mantenimento della famiglia.

Con lo sviluppo della democrazia coincise il peggioramento della condizione della donna. Nelle classi elevate della società ateniese quelle che non erano ancora entrate in menopausa, furono quasi completamente recluse in casa.
In epoca ellenistica, gli uomini vedevano ancora nella casa il posto ideale per la donna, anche se abbiamo molte notizie di attività svolte al di fuori di essa da parte di signore dell’alta società. Era persino ritenuto poco consigliabile che le donne ricevessero visite da altre donne.

 

 

Donne dell’antica Roma

Nell’antica Roma il comportamento delle donne “rispettabili” doveva adeguarsi a un’ideale femminile molto precisa, quello della matrona. La sua missione consisteva nel generare figli e figlie all’interno di un matrimonio controllato ed educarli ai valori tradizionali. Fin dall’infanzia, le bambine venivano preparate a svolgere questo ruolo. Nella cerimonia degli sponsali, alla promessa sposa – ancora bambina – veniva messo un anello al dito (per questo detto “anulare”) dal quale si riteneva partisse un nervo che andava fino al cuore. Da quel momento la bimba aspettava il matrimonio come l’evento più importante della sua vita, con cui avrebbe dato inizio alla sua funzione riproduttiva e di salvaguardia dei valori romani, tramite l’educazione della prole ai principi del patriottismo romano.

Sottomissione legale

La donna era sottomessa a un ordine patriarcale, in cui i maschi controllavano la sua sessualità e la sua capacità riproduttiva. A questo scopo si applicavano norme e leggi di estrema durezza. Ogni relazione al di fuori del matrimonio, anche se intrapresa da donne vedove o non impegnate, era considerata un reato e poteva essere punita dal capofamiglia senza bisogno di un processo.

Donne dell’islam

La storia della donna nell’Islam è definita tanto dai testi islamici, quanto dalla storia e cultura del mondo musulmano. In base al Corano, il testo sacro islamico, le donne sono uguali agli uomini di fronte ad Allah. La Sharia (Legge islamica) stabilisce delle differenze tra i ruoli di genere, i diritti e i doveri della donna e dell’uomo. Gli interpreti dei testi giuridici islamici hanno diversi giudizi circa l’interpretazione delle norme religiose sulla condizione della donna. Secondo i più conservatori, le differenze tra uomo e donna sono dovute a diversità di status e responsabilità dei due, mentre il liberalismo musulmano, il femminismo islamico e altri gruppi hanno argomentato a favore di interpretazioni egualitarie. La condizione della donna nell’Islam, circa le responsabilità delle donne all’interno delle società di cultura prevalente musulmana, varia molto da paese a paese. I paesi a maggioranza musulmana riconoscono alla donna vari gradi di diritti riguardo a matrimonio, divorzio, diritti civili, status legale, abbigliamento e istruzione, in base a diverse interpretazioni della dottrina islamica e dei principi di laicità. Tali paesi presentano alcune donne in alte posizioni politiche, e hanno eletto diversi capi di Stato donna (per esempio Benazir Bhutto in Pakistan).

 

Gli alunni della classe I° B

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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