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Lettera ad un commissario….

Lettera ad un commissario….

Dachau

8 dicembre 1944

Caro zio, ti scrivo con una penna ed un foglio che ho trovato sotto la paglia sulla quale dormiamo, qui nella baracca 25 del campo di concentramento di Dachau. Sono stato internato da circa due mesi, mi hanno fatto indossare una casacca e mi hanno tatuato sul braccio un numero, qui siamo solo numeri. Il Natale si avvicina ed avverto soltanto un senso di vuoto dentro per non poter vivere questa festività come abbiamo sempre fatto. Nessun regalo, nessuna decorazione, nessun presepe. A dire il vero abbiamo dovuto rinunciare ad ogni cosa entrando in questo luogo.  Tutto si è annullato, e nulla ha più senso. Approfitto di questo momento della giornata, ovvero della notte, per scriverti qualche parola, perché a quest’ora i soldati tedeschi a volte non sono nei paraggi e posso godere di una piccola tregua.

Come già sai sono stato arrestato il 13 settembre scorso perché i nazisti hanno scoperto il mio piano per salvare da deportazione e morte certa tante persone come noi, che però avevano come unica colpa quella di essere ebrei. Mi hanno spiato e sono venuti a conoscenza del fatto che avevo falsificato e manomesso i documenti nel periodo in cui a Fiume ero questore reggente a capo dell’ufficio stranieri. A proposito di questo voglio ringraziare te per esserti tanto prodigato e per essere stato di grande aiuto nel dare la possibilità a molti ebrei di venire nel campo di internamento della città di Campagna, dove sappiamo che le condizioni sono state molto più miti rispetto ad altrove e hanno permesso loro di continuare a vivere. Sento dentro di me un senso di grande soddisfazione per aver fatto il mio dovere e per aver seguito la mia coscienza ed il mio cuore.

Le leggi razziali promulgate nel 1938 da parte del governo fascista erano ingiuste e comportavano l’esclusione di nostri concittadini, nostri fratelli, dalla vita pubblica del nostro Paese solo per il fatto di essere ebrei. Non potevo restare indifferente.

Caro zio, la vita qui dentro è davvero molto dura e a volte sento che non posso farcela, che la morte è vicina soprattutto quando guardo negli occhi gli altri prigionieri e vedo la sofferenza sui loro volti.

Da questo luogo senza amore e senza umanità ti scrivo per comunicarti il mio affetto.

Riferisci ai miei amici e ai miei parenti che li amerò sempre e per favore se io non devessi uscire vivo di qui fa sì che la mia storia venga raccontata.

Non chiedo altro se non che questo dolore possa essere di ispirazione per le prossime generazioni e per i giovani di domani. Vorrei incoraggiarli a combattere sempre per ciò che è giusto e a non arrendersi mai davanti alle ingiustizie ed ai soprusi, affinché il bene possa trionfare sopra ogni cosa.

Che la mia storia possa guidare i giovani irpini e non solo. Che possano sempre ricordare di usare il cuore.

Ti lascio con una frase che mi ripeto sempre: “vogliono farci credere che il cuore sia soltanto un muscolo e vogliono impedirci ciò che la coscienza e la nostra fede ci chiedono di fare.”

Ti vorrò sempre bene.

Tuo nipote,

Giovanni Palatucci

 

Lavoro svolto da V. F., classe 3° sez. B

Silvia De Simone
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