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Lì Squacqualacchiun’

Lì Squacqualacchiun’

A cura di Emidio Natalino Dé Rogatis (Santariello)

Originale maschera carnevalesca di Teora (AV)

Ogni anno, il 17 gennaio, con l’inizio del Carnevale, da tempi immemorabili, “escono” per le strade di Teora  Lì Squacqualacchiu.  All’imbrunire, mentre viene acceso  il falò in Tarantino, largo antistante la chiesetta di San Vito ove si venera anche Sant’ Antonio Abate ovvero Sant’Antuono (…. Maschere e suono), di cui ne ricorre la festività, Lì Squancqualacchiun,  un gruppo mascherato in modo grottesco, composto da una dozzina di elementi, si organizzano dalla periferia (ovvero dalla campagna limitrofa) per entrare nel centro abitato. Generalmente dalla Contrada denominata proprio Sant’Antuono, si sentono arrivare da lontano, così come si potrebbe ascoltare un gregge di pecore che si avvicina: più si avvicinano e più il fragore dei loro sonagli diventa forte ed inquietante. Alla testa c’è il Capo Scquacqualacchione che esibisce una scopa di saggina, tutta addobbata con chincaglierie varie, con la quale ordina comandi al gruppo e  la brandisce con gesti beneauguranti (apotropaici)  per liberare le abitazioni da “negatività” ed anche per impaurire, scherzosamente, passanti e bambini,  (facendo la cosiddetta passata di scopa sulla testa e sui piedi).

Il gruppo mascherato de lì Squacqualacchiun’, nel seguire il Capo con i suoi comandi, si sposta in modo scomposto e frenetico, accompagnato dal frastuono dei sonagli, per lo più campanacci, e da stridenti urli, mentre tutti mostrano il batacchio sollevandolo in alto e poi picchiandolo al suolo.  La foggia dell’abito che contraddistingue lo Squacqualacchine è fatta di tela di canapa o di ortica con vistosi rattoppi, i  gambali sono di pelle di coniglio, legati da lacci di cuoio, il gabbano è di lana di pecora su camicia bianca senza colletto, mentre il mantello è variopinto a toppe, con abbondante rosso. Viso e mani sono tinte di nero o nascoste da guanti e calze di lana consunte e bucate a mo’ di passamontagna, mentre il fragoroso rumore è dato da sonagli di varie fogge, trai quali  spiccano i campanacci di mucche e capre. Non mancano, a corredo e per far fracasso, le stoviglie in disuso (coperchi), le catene delle pentole da focolaio e le zucche essiccate.  Il tocco finale è dato da collane di treccia d’aglio, dal mazzetto a pendolo di peperoncino rosso e dall’immancabile batacchio  bitorzoluto detto PIROCCOLA, quest’ultima, arricchita da una sorta di pennacchio (simile all’asso di bastoni) fatto con  rami d’alloro (detto lauro) e di rosmarino (detto spiga d’ossa). Proprio il batacchio, quale simbolo fallico, ci rimanda ai riti Dionisiaci  Greci ed ai Baccanali Romani.  In verità, Lo Squacqualacchione di Teora, personaggio della cultura Osco Irpina, ha risentito molto dell’appartenenza al mondo Osco Sannita, pertanto si desume che sia in linea con la trasmutazione avutasi nel tempo delle rappresentazioni teatrali tenute nell’Antica Atella Osca,  dette proprio “Fabule Atellane” e rappresentate in lingua Osca, con i famosi personaggi “mascherati”  di Macco, che ha dato Pulcinella, di Pappo etc., in quella  Ager Campanus , riscontrabile nell’attuale Orte d’Atella – Aversa  (CE).

Oltre a Lì  Squacqualacchion’ propriamente detti, vi sono al seguito, un manipolo di Scquaqualachiun’  suonatori, che tenendosi a debita distanza, eseguono suoni contadini con organetti e chitarre (una volta le chitarre erano quelle battenti a cinque corde).  Anticamente era in uso che, dopo la visita degli Squacqualacchiun’ in una abitazione, la famiglia donasse qualcosa al gruppo mascherato, tipo: vino, salami, formaggio, noci, pane etc. A quel punto si faceva  entrare anche il gruppo musicale per meglio ringraziare dell’offerta ricevuta e fare qualche suonata e balli con  i presenti prima di accomiatarsi e passare appresso.

Invece, quando le famiglie non accoglievano bene il gruppo de Lì Squacqualacchiun’, potevano essere oggetti di percosse e spiacevoli scherzi. Per lo più, Lì Squacqualacchiun’ , si recavano presso le abitazioni dei signorotti del paese, talvolta loro padroni, per reclamare abbondanti cibarie, e sotto mentite spoglie beffeggiarli.  Quando la raccolta di cibarie era scarsa, si improvvisavano manigoldi.

Raccolte le cibarie, si andava a banchettare presso qualche cantina o laboratorio d’artigiano.

Teora  negli anni ’30 annoverava un numero considerevole di cantine, se ne ricordano 18. Per non citare un numero esorbitante di botteghe artigiane, tra le quali: Sarti, barbieri, ciabattini, falegnami, oltre ai pizzicagnoli, fornai, alimentari, mercerie e fabbri. Gli abitanti erano 4.500 circa, mentre oggi se ne contano 1.550 circa.

Il gruppo de Lì Squacqualacciun’, nel suo muoversi, apparentemente scomposto, attuava dei “riti”, tramandati da generazione in generazione, ed erano quelli di andare a toccare col bastone le molteplici fontane cittadine e ad omaggiare, a modo loro, il sacrato delle chiese cittadine, inginocchiandosi e percuotendo il bastone a terra.  Di notevole effetto sono i cosiddetti TURNIEDD’ (o turniate)  con giravolte intorno al falò ed i salti sui tizzoni ardenti, che in un sol momento, ti rilancia in un mondo atavico dai riti ancestrali .

La maschera de Lì Squacqualacchiun’ è giunta oggi a noi per la tenacia di persone  illuminate,  che nel tempo hanno sapientemente raccolto il testimone proponendolo alle future generazioni. La figura che spicca di più tra i tenutari di questa speciale maschera è stato l’eclettico Santariello (1925 – 2007), al secolo Raffaele De Rogatis che, riprendendo la tradizione dal tal Rocco Nittoli e dal Fratello Emilio, ripropose la tradizione della maschera che stava scomparendo, con il supporto anche culturale della Prof.ssa Silvana Mazzeo, che ne tracciò con un articolo, su l’allora Voci da Teora, alcuni aspetti storiografici e con il Prof. Luigi Chicone, che con l’allora Pro Loco,  mise in atto una rappresentazione supportata da una documentazione filmata. Purtroppo lo stesso anno si ebbe il catastrofico terremoto del 23.11.1980, nel quale, sia la Mazzeo che il professor Chicone perirono. Dopo alcuni anni d’assenza, dovuta alle conseguenze della grande calamità sismica che distrusse quasi interamente il centro urbano di Teora  con 157 vittime, , dalla metà degli anni ’80 fu ripresa la rappresentazione de Lì Squacqualacchiun’ da Emidio Natalino De Rogatis, (figlio del Santarello)  in seno all’allora Pro Loco.

La svolta definitiva si ebbe nel 2001, quando Il Presidente dell’allora Pro Loco, Stefano Farina, attuale Sindaco di Teora, coadiuvato dalla fattività e dall’esperienza del sottoscritto, Emidio Natalino De Rogatis di Santariello,  furono buttate le basi dell’attuale nuovo progetto de Lì Squavìcqualacchiun’, in linea coi tempi presenti, ormai proiettati nel nuovo e “rinnovando” millennio.

Nacque così il cosiddetto Progetto Lì Squacqualacchiun’, che, ancor oggi è in un continuo ampliamento nel rinnovamento, attingendo sempre dall’antica tradizione, e cercando di renderla sempre più accessibile alle neo esigenze di un pubblico che è sempre più lo specchio dei tempi.

Contemporaneamente si è dato inizio alla sagra di prodotti tipici teoresi, quali: Le Tomacelle, una sorta di polpetta schiacciata, ricavata dalle parti meno nobili dell’ammazzamento del maiale, condita con la spezia acre del Rafano o Cren, ed avvolta nell’omento (reticella di maiale), ed i tipici taralli schiacciati detti Scaldatelli o taralli senz’uova.

In seguito detta sagra, s’è arricchita sempre più di leccornie e pietanze della tradizione del periodo e dell’ammazzamento del maiale, con i vari soffritti, e con lo sfizioso piatto di patate sfuculate o sfruculiate, il tutto annaffiato da ottimi vini Aglianico etc.

Dal 2013, sempre scavando su vecchi riti, si è inserito il volo del “MAMMUOCCIO APPICCIATO” .

In quest’ultimo decennio  notevole è stato l’interesse di professori universitari ed antropologi che si sono interessati a questa maschera carnascialesca antropomorfa. Tanto che la maschera de Lì Squacqualacchiun’ è  esposta nel Museo delle Tradizioni Popolari della Campania in Caserta. Dalla Basilicata all’Abruzzo, nell’area Sannita, c’è un’alta vocazione carnevalesca, soprattutto con le sorelle maschere ZOOMORFE, e di tante altre espressioni festaiole, molte simili tra loro, dalle fiere ai riti religiosi, tutti ricalcando antichi riti pagani e di quel circuito pastorizio di cui i mitici tratturi per gli spostamenti stagionali delle transumanze. Nei Comune Irpini maschere simili ma con nomi diversi, venivano regolarmente rappresentati con l’inizio del carnevale del 17 gennaio.  Dal dopoguerra prima e con l’evento sismica dell’ottanta in seguito, queste rappresentazioni sono andate sempre più scemando sino alla totale scomparsa. Teora è un’unicità, tanto da essere inserita nel circuito Irpino UNPLI, quale apripista del Carnevale.

Lo Squacqualacchion’ di Teora resta immutato nel tempo per la sua scanzonata giovialità, per il carattere burrascoso, ma che al contempo, dietro l’apparente ruvida corteccia, racchiude un tenero cuore, affondando, inconsciamente le suo movenze e gestualità, in quel mondo passato, dei riti dell’esorcizzazione della morte e dei Miti per la rigenerazione della Terra.

Silvia De Simone
Silvia De Simone
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